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Lo scenario

Il futuro incerto di Silicon Box a Novara è un test sull'attrattività italiana

Dario Di Vico

L'azienda di Singapore potrebbe creare 1.600 posti di lavoro, ma a causa del contesto internazionale e dell’andamento altalenante della microlettronica, emergono dubbi sull'operazione. Intanto al Mimit ostentano un cauto ottimismo

Le voci si rincorrono da un po’ e vanno tutte nella direzione di rimettere in discussione l’arrivo della Silicon Box di Singapore a Novara per produrre chiplet. Si tratta per il territorio di un importante processo di valorizzazione e per l’Italia di un test di attrazione di altrettanto grande valore. In soldoni parliamo di 3,2 miliardi di investimento e circa 1.600 posti di lavoro con la possibilità per la zona ai confini del Piemonte con la Lombardia di far nascere qualcosa che possa assomigliare nel tempo a un distretto della microelettronica. In città e al Mimit ostentano un ottimismo più o meno cauto sul futuro di Silicon Box e fanno sapere che sono in corso fitti contatti tra l’azienda, Invitalia e il ministero. Nell’arco di una settimana o due la situazione dovrebbe chiarirsi del tutto. Ma a dare origine alle voci e i dubbi di cui sopra è un argomento “duro”: il contesto internazionale e l’andamento altalenante della microlettronica.

 

Le cause sono quelle di una manifattura condizionata da fattori come la disponibilità di materie prime, l'incertezza dei rapporti transatlantici anche sul fronte dei dazi e, non ultimo, le scelte strategiche della Cina. A riprova del contesto grigio gli addetti ai lavori elencano alcuni progetti che sono andati a carte quarantotto in Europa. Il primo e più significativo riguarda Intel che prima delle sue peripezie anche azionari aveva deciso di investire circa 35 miliardi di euro per costruire nuovi impianti in Germania e Polonia. In Francia il progetto della nuova fabbrica di Crolles (valore 5,7 miliardi) ha subito un forte ridimensionamento con il disimpegno di GlobalFoundries dell'investimento prospettato insieme a St Microelectronics. Wolfspeed ha sospeso l’impianto di Endsdorf in Germania (3 miliardi) mentre Broadcom ha cancellato in Spagna il nuovo da un miliardo di dollari. Scorrendo la lista e valutando la tendenza in atto viene da toccar ferro. Ad ascoltare le voci del mercato se l’arrivo di Silicon Box dovesse essere confermato con tutta probabilità comunque dovrebbero essere rimodulati il timing e le modalità dell’investimento (che tra l’altro prevedevano originariamente un contributo pubblico tra il 30 e il 40%). Vale la pena ricordare come al momento dell’annuncio si parlasse di un inizio lavori programmato tra la fine del 2025 e l’inizio del 2026. Si potrebbe, invece, andare quantomeno più in là.

 

Gli investitori di Singapore – i coniugi Sehat Sutardja e Weili Dai – in collaborazione con Cleary Gottlieb per la parte legale e Boston Consulting Group per quella industriale hanno scelto un’area con ottima dotazione infrastrutturale visto che è a 2 km dal casello autostradale di Novara, vicina alla stazione ferroviaria di Agognate, accanto al polo logistico di Amazon e a 20 minuti da Malpensa. In più, nelle immediate vicinanze del sito Silicon Box già opera la multinazionale Memc che produce wafer di silicio. E proprio questa perfetta allocazione territoriale ha autorizzato in Piemonte una certa aspettativa assieme al fatto che esiste già un tessuto di multinazionali e aziende che operano in segmenti di mercato limitrofi e che avevano bisogno – per nutrire maggiori sogni di gloria – solo di pescare un jolly come quello di Singapore. Per chiudere il cerchio vale la pena ricordare come il clima di incertezza che incombe sui programmi della microelettronica italiana è aggravato dalle prospettive dello stabilimento di Agrate Brianza della St Microelectronics: l’azienda infatti reputa indispensabile una riduzione dell’occupazione.

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