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il caso

I giudici negano a Trump il controllo della polizia nelle città americane

Giacinto della Cananea

La Corte federale di San Francisco ha accertato che le decisioni del presidente americano hanno violato la legge che vieta all’esercito di sostituirsi alle autorità civili

Immaginate che in una capitale europea, per esempio a Berlino, il governo federale decida all’improvviso di assumere la guida della polizia municipale, giustificandolo con generiche asserzioni sulla necessità di garantire meglio l’ordine pubblico e senza fare alcun tentativo di ricercare un’intesa con gli organi locali. Una situazione di questo tipo si è realizzata negli Stati Uniti l’11 agosto: il presidente Donald Trump ha annunciato l’intento di contrastare le organizzazioni criminali a Washington, per restaurare la legge e l’ordine. In base a queste misure il capo della Dea, l’agenzia federale antidroga, avrebbe assunto il comando della polizia locale. I governanti locali hanno subito reagito in sede giudiziaria, sottolineando che non vi era alcuna emergenza che potesse giustificare un’ingerenza. Il giudice federale investito del ricorso ha immediatamente affermato la necessità di raggiungere un’intesa provvisoria tra il governo federale e quello locale, per evitare una crisi istituzionale e i collaboratori di Trump hanno accettato di lasciare al capo della polizia locale il controllo del suo apparato. 

In precedenza, il presidente Trump aveva dato ordine alla guardia nazionale e perfino ai marines di intervenire a Los Angeles, a sostegno delle guardie che andavano alla ricerca degli immigrati irregolari. Il 3 settembre la corte federale di San Francisco ha censurato quell’ordine. Ha riaffermato il principio, risalente alla sentenza Marbury v. Madison del 1803, secondo cui “è compito e dovere del potere giudiziario dire qual è la legge” da applicare. Ha accertato che le decisioni di Trump hanno violato la legge che vieta all’esercito di sostituirsi alle autorità civili. Ha aggiunto che la pretesa del presidente di avere poteri al di fuori di quella legge è in contrasto con la giurisprudenza e con il “senso comune”. Ha ingiunto, quindi, al governo federale di cessare ogni interferenza con i poteri locali. 

Questa vicenda è istruttiva per più di un motivo. Innanzitutto, mostra ancora una volta quanto nel suo secondo mandato Trump metta in difficoltà le garanzie istituzionali della democrazia in America. In questi casi, i giudici hanno garantito il rispetto del principio di autogoverno. In altri casi, potrebbero esservi tensioni tra la polizia locale e le forze federali: per esempio, il sindaco di Chicago ha adottato un’ordinanza vietando alla polizia locale di collaborare con gli agenti federali che cercano di effettuare fermi o arresti. Inoltre, sul piano politico si conferma la debolezza del partito democratico a livello nazionale. Sono i governanti locali, come Gavin Newsom in California e Brandon Johnson a Chicago a porre un argine agli sconfinamenti di Trump, che non a caso si concentrano negli stati e nelle città a guida democratica. Infine, con lo sguardo rivolto ai suoi seguaci italiani, ci si può chiedere se possano accettare senza batter ciglio una serie di palesi violazioni del principio di autogoverno.
 

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