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Mercato first. Come leggere il rilancio di Lovaglio su Mediobanca
Il rilancio dell’offerta di Montepaschi non convince la Borsa: titolo Mediobanca giù, azionisti divisi tra adesione e uscita. La riuscita dell’Ops dipenderà dalle mosse di grandi investitori come Blackrock e Norges
Nella storia delle offerte pubbliche di acquisto o di scambio accade raramente che quando c’è un rilancio sul prezzo la società “preda” cada in Borsa com’è successo ieri a Mediobanca: nel giorno in cui Montepaschi ha aggiunto una componente cash di 90 centesimi per azione all’ops in corso, il titolo ha perso il 2,8 per cento. Anche Mps è scivolata giù del 3 per cento, ma questo è normale quando l’offerente sborsa denaro. Al netto di turbolenze di mercato che stanno mettendo sotto pressione i titoli del settore bancario, non si può escludere che alcuni investitori di Piazzetta Cuccia abbiano scelto di vendere, rinunciando anche al premio in contanti, piuttosto che diventare soci della nuova Mps. Ciò non toglie, però, che la strategia messa in atto dall’ad Alberto Nagel per difendere Mediobanca sia ormai agli sgoccioli di fronte alla determinazione con cui l’ad di Siena, Luigi Lovaglio, sta portando avanti la scalata.
Lovaglio, come banchiere, sta dimostrando di conoscere le liturgie di mercato e di assecondarle, forte delle riserve di capitale accumulate negli anni del risanamento. Dire, come ha fatto il cda di Siena, che il miglioramento del corrispettivo dell’ops testimonia l’attenzione verso gli azionisti e mira a “massimizzare il successo dell’iniziativa”, significa avere ben chiaro che la forte presenza in Mediobanca di investitori di mercato riflette anche il livello di fiducia nei confronti del sistema paese. Con il rilancio sul prezzo, Lovaglio punta a convincere questi soggetti, visto che i grandi soci, Caltagirone e Delfin, hanno consegnato le azioni prima che il cda di lunedì sera del Monte decidesse di aggiungere 750 milioni in contanti all’offerta costituita esclusivamente da titoli della banca stessa. Alcuni azionisti di minoranza si sono già persuasi (per esempio, la famiglia Tortora, nome di peso del patto di consultazione di Mediobanca, che ieri ha deciso di aderire con il suo 1,1% e con l’Enpam, pronta a consegnare il suo 2%) mentre altri potrebbero opporre resistenza nonostante il miglioramento dell’offerta. Le recenti vendite in Borsa di Mediobanca sotto scalata (mentre dovrebbe accadere esattamente il contrario) è il segnale che queste faccende sono sempre molto complicate. La cosa più importante sarà vedere come si muoveranno investitori istituzionali internazionali di peso come Blackrock e Norges che rappresentano ancora il 20-25 per cento dell’investment bank milanese: basteranno 90 cents per indurli ad aderire all’offerta del Monte oppure preferiranno, anche loro, uscire di scena determinando l’inesorabile caduta di valore del titolo? La questione non è semplicemente tecnica: da questa scelta dipende se nella nuova realtà che potrebbe nascere dall’integrazione tra Mediobanca e Mps, il “terzo polo”, anche se dalle parti di Siena preferiscono non chiamarlo così perché è una definizione troppo “politica” (è stata coniata, infatti, dal ministro Giancarlo Giorgetti) ci sarà o meno una consistente presenza di mercato inteso come operatori finanziari professionali. Nel disegno di Lovaglio, questo contribuirebbe a qualificare tutta l’operazione che ha ricevuto una spinta da parte del governo Meloni. Insomma, se sta per nascere una specie di nuova Invimit delle banche o una aggregazione bancaria competitiva ed efficiente dipenderà da chi e come la gestirà, ma le premesse si vedranno da come e se gli investitori di mercato si accorderanno al progetto. Così si spiega il rilancio “forte” di Lovaglio, con la volontà di coagulare intorno alla sua idea quel pubblico di investitori che ha incontrato nel suo road show tra Londra e New York. In ogni caso, migliorando l’offerta diventa più probabile che l’ops riuscirà a raggiungere e forse anche a superare il 50 per cento delle adesioni, la soglia strategica per ottenere determinati benefici fiscali e consolidare pienamente l’operazione. Questa soglia, per esempio, consentirebbe, a Montepaschi di ottenere il controllo della governance che vuol dire mandare a casa Nagel in tempi brevi evitando ulteriori battaglie e lacerazioni. Che una tale prospettiva stia diventando concreta a Siena lo sanno ma sono anche consapevoli che raggiungere poi la soglia massima del 66,7 per cento, che vorrebbe dire aumentare le probabilità di procedere con una fusione, non è scontato e perciò vi hanno rinunciato. Per alcuni, la fine del risiko è vicina, ma c’è chi pensa che sia finito solo il primo tempo visto che al Mef non hanno rinunciato all’idea che Banco Bpm potrebbe entrare a fare parte del terzo polo. Ma questa è un’altra storia.