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“Guai a congelare l'età pensionabile”. Parla Alberto Brambilla

Francesco Gottardi

Il prresidente del centro studi Itinerari previdenziali e già consigliere economico a Palazzo Chigi: “ Ne va della tenuta del sistema-paese, del nostro patto intergenerazionale. Serve la Lega che ha progressivamente cancellato Quota 100, non quella che utilizza la previdenza ai fini del consenso elettorale”

Pensioni da incubo e dove trovarle. “Serve la Lega che ha progressivamente cancellato Quota 100, non quella che utilizza la previdenza ai fini del consenso elettorale”, è il monito che arriva da Alberto Brambilla, presidente del centro studi Itinerari previdenziali e già consigliere economico a Palazzo Chigi tra il 2018 e il 2020. “Dunque apprezzo l’operato del ministro Giorgetti, e anche quello del sottosegretario Durigon, sull’iscrizione automatica dei nuovi assunti ai fondi pensione. Passi pure la proposta sul Tfr”, che finirebbe trasformato in una rendita mensile da sommare ai contributi Inps per ottenere il pensionamento anticipato. “Non la condivido, ma posso anche chiudere un occhio. Sul congelamento dell’aumento dell’età pensionabile – sempre per iniziativa di Durigon –, invece non si può transigere. Non esiste. Ne va della tenuta del sistema-paese, del nostro patto intergenerazionale”.

E questo Brambilla lo sa particolarmente bene. Era stato lui, durante il governo Berlusconi IV, a scrivere insieme a Giulio Tremonti “la normativa sui coefficienti di trasformazione del montante contributivo, aggiornandoli in base all’aspettativa di vita in termini puramente tecnici”. Una soluzione d’efficienza amministrativa. “E una soluzione impopolare. Perché il meccanismo si applica in automatico, a partire dalle stime dell’Istat e della Ragioneria generale dello stato. In questo modo la politica non ha voce in capitolo. Dunque abbiamo cercato di applicare la stessa regola, agganciando l’età pensionabile all’aspettativa di vita: purtroppo non ci siamo riusciti, l’intero arco costituzionale l’ha bocciata”.

E oggi rischiamo di pagarne le conseguenze, con la Ragioneria dello stato non a caso critica sulla linea di Durigon. “L’ho fatto presente anche a lui”, spiega al Foglio il professore. “Ci siamo confrontati, rafforzare la previdenza complementare è troppo importante: quei tre mesi di lavoro in più – che scatterebbero senza il congelamento – sono il piccolo sacrificio necessario per tenere l’Italia in equilibrio. Ma ora che ci avviciniamo al voto nelle regioni, saranno in tanti a fare finta di niente: dall’opposizione non vedo alcuna levata di scudi, la sinistra e i sindacati si guardano bene dal mettersi contro i pensionati, la maggioranza invece è spaccata. Tutti si muovono con prudenza per paura di perdere consensi. Mi auguro allora che prevalga la ragionevolezza di Giorgetti. Di fronte al più massiccio invecchiamento della popolazione di sempre, servono contromisure adeguate”.

La tirata d’orecchie arriva da una vecchia conoscenza delle forze di governo. Brambilla, come profilo tecnico-istituzionale, è sempre stato nell’alveo del centrodestra: tra il 2001 e il 2006 anche da sottosegretario al Welfare con delega alla Previdenza sociale. Erano altri tempi. Quelli del Cav. premier e di Maroni ministro. “Il problema è che noi siamo abituati ad affrontare gli argomenti scindendoli l’uno dall’altro. Invece non è così: quando parliamo di pensioni, inevitabilmente non possiamo non tener conto del quadro economico e demografico. Sul primo ce la sbrighiamo in fretta: siamo un paese che continua a non tener conto dei patti intergenerazionali, e che lascerà ai giovani 3.070 miliardi di euro di debito. Bisognerebbe essere morigerati, abbiamo una procedura d’infrazione in corso per eccessivo deficit: come si fa sull’adeguamento automatico a non applicare una legge dello stato?”. 

Senza contare  che  costerebbe circa 3 miliardi di euro. “Ma la questione demografica è anche peggiore. Il 94 per cento dei cittadini è nato dal 1945 in poi: andremo tutti in pensione nei prossimi vent’anni, gli over 65 passeranno dal 24 al 35 per cento. Mentre il rapporto lavoratori attivi-pensionati non arriva a 1,5. Quando si fanno certe proposte occorre considerare tutto questo. E siccome il governo ha più margine di manovra per ridurre i pensionamenti, rispetto agli incentivi all’occupazione – con le follie americane sui dazi, poco da fare –, su questo bisogna battere”. Con il giusto senso di responsabilità. “La regola per andare in pensione di vecchiaia è di 67 anni, per quella anticipata è di 42 anni e 10 mesi: anche per loro vale dunque l’incremento dei tre mesi. Non si possono ammettere deroghe. Capisco le strategie elettorali, ma alla fine la linea tecnica dovrà prevalere su quella politica”. E forse questo lo sa anche il sottosegretario Durigon.

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