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l'analisi

Il treno del Pnrr viaggia in orario. Buone notizie: nel 2026 non si perderà un euro sulla rete ferroviaria

Giorgio Santilli

Target raggiunti al nord, anche per il Terzo Valico, mentre nel Mezzogiorno gli investimenti restano molto lontani dalle aspettative. Ma la rimodulazione del Piano ha comunque del miracoloso

Chi si aspettava dal Pnrr l’attivazione di nuove linee veloci e di treni su cui viaggiare nel 2026 li troverà soltanto nel Nord Italia, sull’asse est-ovest, con il completamento e la messa in funzione (a 35 anni dalla prima idea progettuale) della linea ad Alta velocità Brescia-Verona-Vicenza (4,5 miliardi Pnrr su un costo totale di 6 miliardi). Un risultato che potrebbe essere considerato deludente rispetto alle promesse iniziali. Ma chi conosce che razza di Vietnam sia la realizzazione di grandi opere infrastrutturali in Italia non poteva attendersi miracoli e può invece trovare motivi di soddisfazione nel raggiungimento, pressoché certo, dei target di spesa del “Pnrr ferroviario” nel 2026: un investimento di 13,5 miliardi di euro per 16 lotti di grandi opere e 8,5 miliardi per 120 lotti “minori” di potenziamenti, elettrificazioni, tecnologie diffuse sulla rete. La spesa dell’intero budget originario di 22 miliardi entro giugno 2026 ha quasi del miracoloso: è merito delle rimodulazioni del piano fatte a più riprese che spesso hanno adattato i target allo stato delle opere e non viceversa. Frutto di un rapporto proficuo fra la Commissione Ue e il ministero delle Infrastrutture. Neanche un euro andrà perduto. Inoltre la missione 3.1, proprio grazie alle rimodulazioni adottate con tempismo (decisiva l’ultima approvata dalla Ue il 20 giugno 2025), è oggi l’unico capitolo dell’intero Pnrr che può vantare di avere sistemato i suoi target finali e di avere raggiunto una stabilità definitiva, tirandosi fuori dalla battaglia dell’ultima rimodulazione che il governo italiano presenterà a Bruxelles a settembre.

Progressi utili per il futuro
Il bilancio del Pnrr ferroviario è fatto di luci (spesso poco visibili) e ombre. I passi avanti con cui il Pnrr ha trascinato in avanti il settore delle opere pubbliche sono importanti, ma tutti da consolidare nel dopo-2026: servirà, a questo proposito, l’ulteriore riforma della programmazione ferroviaria che il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini ha già concordato nelle linee essenziali con la commissione Ue (recepite nell’ultima rimodulazione). I progressi fatti con il Pnrr dimostrano, però, come il grande male italiano delle infrastrutture si possa aggredire e vincere se c’è forte volontà politica e un indirizzo amministrativo univoco. 
Tre sono, in particolare, le strade intraprese su cui insistere. La prima è la riduzione drastica dei tempi dei percorsi autorizzativi e di avvio dei cantieri, grazie a un regime normativo straordinario che ora andrebbe reso ordinario: a pesare sono stati il taglio dei tempi previsti per i pareri, il silenzio-assenso per alcuni di questi, l’introduzione di organi speciali creati per approvare i progetti (Valutazione di impatto ambientale, Consiglio superiore dei lavori pubblici, Sovrintendenza speciale nazionale).  Tutte novità recepite in parte dal codice degli appalti, ma che andrebbero portate a regime ordinario almeno per tutte le opere strategiche nazionali.
La seconda strada virtuosa è il monitoraggio costante e quasi ossessivo dell’opera in tutte le fasi (anche l’esecuzione). E’ il risultato del sistema delle milestone e dei target che sarà ora introdotto anche per gli investimenti nazionali nella riforma ferroviaria di prossima presentazione. 
La terza strada è quella meno visibile ma anche la più rilevante:  l’accelerazione dei meccanismi di trasferimento finanziario dei fondi dal Mef a Rfi e agli appaltatori, che ha portato a una drastica riduzione dei tanti tempi morti delle procedure contabili ordinarie. Retaggio di una finanza pubblica costruita per frenare la spesa e scoraggiare gli investimenti, le procedure ordinarie sono basate sulla moltiplicazione di rendicontazioni e controlli preventivi, gestiti in modo rigido e burocratico. Il Pnrr ha allargato al 30 per cento le anticipazioni che consentono di avviare i lavori e ha spostato verifiche e controlli dopo il pagamento dei lavori effettuati: prima si attesta che i lavori siano stati fatti, poi si effettua il pagamento, infine le ulteriori verifiche per confermare che tutto sia regolare. L’effetto è stato l’accorciamento dei tempi di pagamento alle imprese (tema che vede l’Italia sotto procedura di infrazione). Risultato possibile perché il Mef anziché tirare il freno a mano “ordinario” ha avuto interesse a spendere rapidamente per tenere il ritmo del Pnrr. Ma è un risultato su cui occorre aprire una riflessione su possibili riforme in profondità del sistema di contabilità, se si vuole davvero una stagione nuova della spesa per investimenti.

Le ombre del Pnrr 
In testa alle ombre del Pnrr c’è l’altra faccia delle rimodulazioni del piano che hanno portato a una rivisitazione al ribasso, a più riprese, dei target relativi ai chilometri di linee strategiche. Sintetizzando si può dire che i target di spesa saranno centrati soprattutto grazie a un ridimensionamento dei target strategici del piano. Sono stati cancellati – perché fuori tempo – interventi fondamentali come la circonvallazione di Trento sull’asse Verona-Brennero e stralciate (Roma-Pescara) o marginalizzate (Orte-Falconara e Battipaglia-Potenza-Metaponto-Taranto), tutte le linee “trasversali” che dovevano portare a un allargamento della rete ferroviaria di “serie A”. 
Ma il problema più grave emerso dall’attuazione del piano è quello di un Mezzogiorno che, anziché accorciare le distanze, come prometteva (molto astrattamente) il Pnrr, le allunga in termini di chilometri di linee funzionanti e nel 2032 si presenterà al grande salto verso il Ponte sullo Stretto senza linee ferroviarie ad Alta velocità completate: non saranno pronte la Salerno-Reggio Calabria e la Palermo-Catania-Messina, due opere per cui il Pnrr ha prodotto sì un’accelerazione rilevante, mettendo in moto una macchina ingolfata, ma inferiore alle aspettative e poco significativa rispetto al programma di lavori da realizzare per produrre un beneficio in termini di servizio e di traffico. 
Per la Salerno-Reggio il Pnrr ha consentito di avviare e realizzare solo “per parti d’opera” (cioè parzialmente) il primo lotto Battipaglia-Romagnano, ma ne mancano altri tre sulla direttrice Romagnano-Paola (finanziati per 9,4 miliardi su 13,5 totali) e tre sulla direttrice Paola-Villa San Giovanni, per cui sono stanziati 11 milioni su 13 miliardi necessari (qui non c’è il “metodo Ponte” di iniziare l’opera strategica con la provvista finanziaria già assegnata). Il contratto di programma Rfi-Mit conferma che il fabbisogno finanziario non coperto ammonta per l’intero tragitto a 17 miliardi. Novità potrebbero arrivare dalla nuova edizione 2025, in attesa di essere pubblicata in Gazzetta Ufficiale.
Sulla Palermo-Catania-Messina si è assistito a un balletto di lotti finanziati, definanziati, poi reinseriti, con un andamento dei cantieri inferiore alle aspettative: dei quattro cantieri finanziati con il Pnrr, tre saranno conclusi “per parti d’opera”. Il paradosso è che le opere finanziate sono cresciute con l’ultima rimodulazione da 1,2 miliardi a 2,2 miliardi. Si può spiegare con la tattica tipicamente Pnrr: con l’inserimento “contabile” di due lotti mai inseriti prima (Giampilieri-Fiumefreddo e Ogliastrillo-Castelbuono) e il reinserimento di un lotto temporaneamente accantonato (Bicocca-Catenanuova) si sono eliminati lotti in ritardo con i lavori e si sono inseriti, in una logica puramente contabile di palleggio fra bilancio nazionale e fondi Pnrr, lotti che potevano vantare un maggiore stato d’avanzamento. Con il vantaggio non trascurabile di recuperare risorse nazionali da destinare ad altre opere ferroviarie nell’ambito del contratto di programma. Ma, fuori del Pnrr, mancano ancora sei lotti: il finanziamento esiste per l’intera opera (al netto di 550 milioni per opere complementari) ma la sua entità (8 miliardi sulla Palermo-Catania e 3,3 miliardi sulla direttrice Catania-Messina) racconta che sforzo straordinario dovrebbe essere compiuto per anni, se confrontato agli 1,2 miliardi contabilizzati in cinque anni con il Pnrr. 
Va meglio sul terzo asse strategico meridionale, la Napoli-Bari, su cui il Pnrr è intervenuto accelerando lavori già avviati da tempo su cinque degli otto lotti in programma. Solo uno dei cinque lotti (i 18,7 chilometri della Apice-Hirpinia) sarà realizzato “per parti d’opera”, gli altri arriveranno al capolinea con un investimento di 2,2 miliardi (aumentato di un miliardo con l’ultima rimodulazione di giugno per la stessa logica descritta sopra per le opere siciliane). Per i restanti tre lotti c’è la copertura finanziaria da contratto di programma Rfi. 
Il Mezzogiorno resta quindi un gigantesco problema del dopo-Pnrr, che spetterà risolvere al piano industriale da 140 miliardi in dieci anni dell’amministratore delegato di Fs, Stefano Antonio Donnarumma, e alla proposta di partecipazione di privati nella società per la rete. 

Il “caso” del Terzo valico
Tornando al nord, fra i bilanci faticosamente positivi si può inserire il Terzo Valico fra Milano e Genova (3,7 miliardi di Pnrr su un costo totale di 10 miliardi), opera-simbolo delle difficoltà del Pnrr su questo fronte, che ha perso per strada, rispetto alle aspettative iniziali, l’obiettivo del quadruplicamento della linea e porterà la prima (e unica) canna della galleria a meno di due chilometri dal traguardo rispetto a un progetto di 10 chilometri di galleria di base e 35,5 chilometri di linea: risultato tormentato da mille variabili endogene ed esogene, talpe bloccate nel tunnel, ritrovamento di amianto e giacimenti di gas, non brillante, certo, ma migliore di come poteva andare, considerando che sono stati riattivati tutti i fronti che scaveranno a pieno regime fino all’ultimo giorno di Pnrr. 
Proprio per questa opera è stato creato il criterio del finanziamento “per parti d’opera”, frutto di una grande vittoria del ministero delle Infrastrutture con Bruxelles: contrariamente a quanto previsto in origine (finanziamento all’intera opera e solo se entra in funzione), il compromesso consente di mantenere il finanziamento anche su opere realizzate parzialmente. E’ uno dei “trucchi” che consentirà di portare a compimento l’intero investimento di 22 miliardi. 
L’attenzione prioritaria data dalla politica a questa opera, con molti interventi finanziari, di revisioni prezzi e normativi (variante) a suo esclusivo favore, l’ha resa un’opera troppo avanzata per non essere finita, sia pure con obiettivi ridotti e costi aumentati. Un altro “trucco” del Pnrr escogitato per riallineare i target allo stato dell’intervento è il trasferimento sul nodo di Genova (investimento scisso dal Terzo Valico) di una parte dei chilometri di linea da realizzare e di finanziamenti corrispettivi. I finanziamenti restano gli stessi, ma si sposta la produzione dai chilometri difficili a quelli più facili.

Il caso emblematico delle tecnologie
Ci sono poi tre piani diffusi: il potenziamento sui nodi ferroviari con 2,9 miliardi di finanziamento (prevalentemente al centro-nord) è uno sforzo di manutenzione straordinaria e di eliminazione dei colli di bottiglia; il piano di elettrificazione con 2,4 miliardi va interamente al Mezzogiorno; il più importante è l’Ertms (European Rail Traffic Management System), la tecnologia europea di controllo elettronico da remoto della marcia del treno: da una grande sala operativa a Roma si gestiranno la circolazione ferroviaria complessiva e la movimentazione del singolo treno. Tecnologia decisiva per garantire sicurezza e puntualità dei treni e aumento della capacità delle linee.
Il 18 luglio Fs ha annunciato il raggiungimento del target Pnrr per l’installazione dell’Ertms su 1.400 chilometri di linea a giugno 2026 sui 2.800 chilometri da raggiungere a fine Pnrr con 2,5 miliardi. 
Una buona notizia, anche se l’investimento in Ertms è un caso di scuola sui progressi fatti che restano, però, inferiori ai target e alle ambizioni originari. Il Pnrr del 2021 prevedeva che l’obiettivo intermedio fosse raggiunto sei mesi prima (dicembre 2024) e che l’attuale target finale di 2.785 chilometri fosse in realtà fissato a 3.400 chilometri. Mancano all’appello, quindi, 615 chilometri, cancellati dalla rimodulazione 2023: un taglio del 18 per cento dell’obiettivo. 
Inoltre, i vecchi ferrovieri fanno notare che “installare” l’Ertms – come prevede il Pnrr – non significa “attivarlo”: tecnologia pregiata e delicata che ha bisogno di un’ulteriore piano di attivazione di almeno un paio di anni per attrezzare le singole linee (si è scelta la Direttissima oltre che una serie di linee periferiche di secondo e terzo livello) e per consentire ai proprietari dei treni di adeguare le cabine dove un tempo governava tutto il macchinista. Attrezzare significa sospendere la circolazione (quando viaggia il treno con Ertms vanno fermati gli altri). Non proprio un’operazione facile considerando le criticità e le sofferenze che già oggi viaggiano sulla rete Fs.

Si può concludere il bilancio del Pnrr sottolineando ancora che il piano europeo non ha realizzato i sogni che prometteva ma ha prodotto un “nuovo avvio” e un avanzamento della nostra capacità di realizzare grandi opere. Le prossime mosse di completamento del piano – con le riforme previste per i “tempi supplementari” del Pnrr – e quelle nazionali del dopo-2026 saranno decisive per consolidare i risultati raggiunti ed evitare di tornare indietro alla casella di partenza. Il ministero delle Infrastrutture sta già lavorando a un testo di riforma della programmazione degli investimenti ferroviari, inserito nel Pnrr dall’ultima rimodulazione. Sarà presentato in autunno e vidimato dalla commissione. Fra le novità, la pianificazione delle opere per target e milestone, un peso crescente dell’Autorità di regolazione dei trasporti nel ruolo di controllo oggi svolto dalla Commissione Ue, il superamento del meccanismo di programmazione a scorrimento costituito dal contratto di programma di Rfi che certo non si è rivelato uno strumento efficiente in termini di trasparenza e di certezza dei finanziamenti alle opere. Le scelte strategiche del piano industriale di Donnarumma e la ricerca dei finanziamenti anche sul mercato dei capitali privati dovranno fare il resto.

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