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Banche
Che cosa fare ora Unicredit? Chi sogna l'opzione francese per Bpm? Come orientarsi nel risiko
La partita persa da Orcel, la strategia per il dopo, le divisioni nel governo. E poi? Puntini per capire. E idee
Cherchez la France. Per orientarsi nell’intricato risiko bancario dopo che il gruppo Unicredit guidato da Andrea Orcel si è ritirato dall’offerta su Banco Bpm occorre seguire il filo rosso delle relazioni tra ambienti del governo Meloni e la francese Crédit Agricole. Relazioni migliori di quanto si possa immaginare a giudicare dall’ultima uscita del ministro Giancarlo Giorgetti all’assemblea dell’Abi, quando ha detto, in sostanza, di non badare alla nazionalità dei soggetti ma alla loro visione di come si fa il mestiere di banchiere, vale a dire meno finanza e più vicinanza alle piccole imprese. Era l’11 luglio e lo stesso giorno, guarda caso, la Banque Verte presentava una richiesta alla Bce per poter superare la soglia del 20 per cento già in suo possesso dell’istituto guidato da Giuseppe Castagna. In realtà, è probabile che Crédit avesse già acquistato in precedenza strumenti derivati per poterli convertire in azioni non appena si fosse sentita sicura di non incontrare le obiezioni di Roma. Ad oggi la banca francese potrebbe detenere una partecipazione di circa il 25 per cento di Bpm, comunque, molto vicina alla soglia per potere lanciare un’opa, cosa che dice di non volere fare.
Si è sempre mosso così il gruppo d’Oltralpe guidato da Philippe Brassac, in modo felpato, in sintonia, almeno fino ad oggi, con il management di Bpm e gettando ponti con Palazzo Chigi grazie ai buoni uffici soprattutto del suo referente in Italia, Giampiero Maioli. Ora però che Orcel ha sorprendentemente mollato il colpo, dopo che la Consob gli aveva concesso una sospensione di 30 giorni per chiarire la questione golden power, la via francese per il futuro di Banco Bpm diventa una prospettiva concreta. Ma esiste anche il rischio che scoppi un caso politico. Come fa il governo a giustificare di avere bloccato una banca italiana come Unicredit e di stendere la mano a una banca estera? All’interno della stessa maggioranza questo approccio potrebbe essere considerato discutibile, in particolare da Fratelli d’Italia, partito della premier Giorgia Meloni, che ha sempre guardato con scetticismo agli investimenti dei francesi in Italia. Finché Crédit Agricole si manteneva intorno al 20 per cento era un conto, adesso che si sta allargando è un altro. Lo stesso Castagna, nel commentare con soddisfazione il passo indietro di Unicredit, ha ammesso che la banca milanese “resta sotto i riflettori di chiunque abbia progetti di aggregazione in Italia”. Una dichiarazione che per certi versi è risultata sorprendente, considerato che l’unico gruppo che si sta muovendo su Bpm è proprio Crédit. Ma che cosa hanno in mente a Parigi? Il disegno, secondo alcune fonti finanziarie, potrebbe essere quello di creare un polo del credito e del risparmio unendo Bpm a Crédit Agricole Italia, che possiede già Cariparma e il Credito Valtellinese. In questo disegno, la capogruppo francese, Crédit Agricole Sa, vestirebbe i panni di azionista di riferimento. Il punto, però, è che per arrivare a creare una realtà che non sia scalabile da terzi – il timore è che lo stesso Orcel prima o poi possa tornare alla carica – occorrerebbe procedere con un’operazione straordinaria, vale a dire con l’acquisizione di Bpm attraverso un’offerta pubblica. Per quanto il gruppo francese continui a dire che non è questa la sua intenzione, non si vede in quale altro modo potrebbe raggiungere i suoi obiettivi di espansione che implicano il potenziamento della rete di sportelli (gliene occorrerebbero altri 200, assicurano esperti del settore). Ai piani alti della banca d’Oltralpe è considerato fondamentale migliorare la distribuzione di prodotti assicurativi e di risparmio in un paese ricco come l’Italia. Insomma, qualcosa sta bollendo in pentola. Ma i francesi dovranno fare i conti anche con chi, sempre al governo, vedrebbe a questo punto il ritorno al vecchio piano del terzo polo bancario, che vorrebbe dire includere Banco Bpm nell’aggregazione che potrebbe nascere tra Mps e Mediobanca. In questa ipotesi, la banca milanese dovrebbe restare autonoma almeno fino a quando non si sarà conclusa la scalata del Monte su Piazzetta Cuccia e si capirà se si arriva a un controllo di fatto che prelude all’integrazione tra le due realtà e alla possibilità per inglobarne una terza.
Insomma, Orcel, con il suo passo indietro, ha di fatto perso la partita ma ha reso anche più chiaro il quadro giuridico di riferimento per fusioni e acquisizioni tra banche. Il golden power è stato depotenziato dal Tar del Lazio e contestato dall’Unione europea. E questo è un dato di fatto col quale il governo deve fare i conti. Chiunque oggi in Italia avesse dei piani di espansione dovrebbe, in teoria, andare incontro a minori restrizioni. Vale per lo stesso Orcel se in futuro decidesse di tornare alla carica su Bpm o allungare lo sguardo su altre realtà del paese. Ieri, il banchiere, nel presentare i nuovi risultati record del secondo trimestre, ha escluso qualsiasi mossa in Italia “perché non ci sono le condizioni”. Ma conoscendolo, non si può mai dire.



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