(foto Ansa)

la decisione

Unicredit si ritira. Orcel getta la spugna su Banco Bpm, ma Savona salva l'indipendenza della Consob

Mariarosaria Marchesano

Nonostante la proroga concessa dalla Consob, l'istitito di credito ritira ufficialmente l’ops su Bpm, che ora attende l’arrivo di Crèdit Agricole

Si dice che l’età porta saggezza e Paolo Savona, economista, due volte ministro, a 89 anni, nel concedere una nuova proroga a Unicredit per l’ops su Banco Bpm ha preso una decisione che sembravano destinate a lasciare il segno nel suo mandato di presidente della Consob, assunto nel 2019 su indicazione del governo Conte (M5s-Lega). Ma non è servito. Stasera il cda di Unicredit ha scelto lo stesso di ritirarsi, come da indiscrezioni della vigilia, in quanto “la condizione relativa all’autorizzazione Golden power non è soddisfatta”. Un doppio colpo di scena che potrebbe modificare gli scenari del risiko bancario.  Savona aveva assunto posizioni antieuropeiste, che gli preclusero la poltrona di ministro dell’Economia, ma è sempre stato uomo delle istituzioni e così ha scelto, per la seconda volta, di concedere altro tempo alla banca guidata da Andrea Orcel.

 

Pur sapendo,  l’“euroscettico” presidente della Consob, che la posizione del governo Meloni su questa operazione è considerata dall’Unione europea un esempio di sovranismo finanziario da contrastare. Già a fine giugno il voto di Savona è stato determinante nella decisione collegiale che ha indotto la Consob a concedere un primo slittamento di trenta giorni a Unicredit, scatenando forti malumori a Palazzo Chigi. E ha rifatto ora  la stessa cosa, forte del Testo unico della finanza che all’articolo 102 attribuisce alla Consob il potere di prorogare il periodo di un’offerta pubblica, anche più di una volta e a prescindere da un’istanza di parte (quindi indipendentemente dalla richiesta di Unicredit), quando ci sono elementi di novità che possano compromettere un “fondato giudizio” da parte degli investitori sull’offerta stessa. Nel caso di specie, gli elementi di novità non mancavano tra la sentenza del Tar del Lazio che ha accolto in parte il ricorso di Unicredit contro il golden power posto dal governo e l’intervento della Commissione europea che ha messo in discussione la tutela dell’interesse nazionale invocata dal ministro Giancarlo Giorgetti. Le regole di mercato hanno avuto la meglio nella valutazione dei commissari che con questa scelta hanno di fatto preservato l’indipendenza e l’autorevolezza dell’autorità di vigilanza italiana. 
Le conseguenze? Paradossalmente, la prima è stata di mettere sotto una forte pressione proprio Unicredit. Oggi scade l’offerta su Bpm e ieri il consiglio, che era stato convocato per approvare i conti del secondo trimestre di quest’anno, ha discusso fino a tarda sera sull’opportunità di accettare la proroga della Consob e andare avanti con l’offerta oppure gettare la spugna. In realtà, la decisione dipendeva solo in parte dalla banca di Orcel che ha chiesto al governo un contraddittorio sul golden power dopo la sentenza del Tar di metà luglio. Contraddittorio che non c’è mai stato mentre si sono moltiplicati i tentativi di capire se c’era disponibilità da parte di Palazzo Chigi per riformulare il Dpcm per tenere conto della sentenza del Tar e delle osservazioni dell’Europa. Nei fatti, senza un nuovo decreto Unicredit non poteva andare avanti oppure rischiava di arrivare alla nuova scadenza che la Consob ha fissato al 21 agosto facendo un buco nell’acqua. Il bivio è stato proprio questo per Orcel: non mollare fino all’ultimo facendo apparire il governo in qualche modo inadempiente rispetto a quello che dovrebbe essere l’obbligo di rifare il decreto, oppure ritirarsi perché è fin troppo evidente che il periodo estivo non aiuta gli uffici ministeriali ad assolvere il compito in tempo utile a portare a termine l’offerta. Orcel alla fine ha mollato e chissà se ripresenterà in futuro una nuova offerta, visto che su Bpm si è già allargata la presa della francese Crèdit Agricole non osteggiata dal governo.

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