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la lettera
Ma il famoso “carrello della spesa” è così un disastro? Una replica
Il problema non sono i prezzi ma il reddito da lavoro in termini di potere d'acquisto che subisce la dittatura della produttività. Anche se, in realtà, il sistema produzione-ingrosso-distribuzione sta funzionando piuttosto bene. Ci scrive il direttore Ufficio studi Confcommercio
Al direttore - La spasmodica e diffusa ricerca di ciò che non va bene nel nostro sistema economico ha trovato da qualche tempo un valido bersaglio nel cosiddetto “carrello della spesa”, i cui prezzi sarebbero crescenti. Facciamo un po’ di chiarezza. Il carrello pesa per il 20% del paniere dei consumi. I commentatori sono preoccupati del fatto che esso contiene beni acquistati di frequente, con potenziale riflesso in termini di disagio percepito dalle famiglie, soprattutto le più povere. Intanto, voglio chiarire che l’aggregato più rilevante è il paniere cosiddetto “in alta frequenza”: vale il doppio del carrello e contiene – oltre a quanto c’è già nel carrello – gli affitti, i carburanti, i pasti fuori casa, i giornali, il biglietto dell’autobus. Il prezzo di questo aggregato cresce del 2,1%, cioè in linea con il resto. Poi già il mese scorso il prezzo del carrello è cresciuto del 3,1% tendenziale. Quindici giorni dopo – stime definitive – è tornato al 2,7%. Se tra 15 giorni torna un’altra volta al 2,7% ci sarà un pezzo di ritrattazione? Guardiamo ora agli alimentari il cui prezzo, secondo alcuni, costituirebbe un problema strutturale o, meglio, il sintomo di una patologia da produttività di filiera. Gli alimentari sono importanti perché costituiscono quasi l’89% del carrello il cui costo dal 2019 a oggi è aumentato di circa il 27% contro un’inflazione complessiva del 19%. Ora: se la media è 19 qualcosa deve per forza essere cresciuto di più e qualcosa di meno. Ma niente da fare: bisogna per forza concentrarsi sempre e soltanto su quello che è cresciuto di più.
Ma è vero che il prezzo degli alimentari è salito più della media? Certo: la variazione tra gennaio 2019 e giugno 2025 del prezzo del carrello è esattamente +26,2%, contro il +19,8% del totale indice dei prezzi al consumo. Lo scarto è dovuto agli alimentari, in particolare quelli non lavorati, la cui origine è largamente d’importazione. Tornando un po’ indietro, tra gennaio 2016 e lo scorso mese di giugno l’inflazione sui non lavorati è 38%, contro una crescita media dell’intero paniere di consumo del 23,2%: uno scarto di quasi quindici punti. È la crescente instabilità dei raccolti su scala planetaria a determinare questo fenomeno globale: la variazione del prezzo delle commodity agricole della Banca mondiale dice +40% tra il 2019 e ieri o tra il 2016 e ieri. I conti tornano. In ogni caso, dire che il prezzo di un cosa cresce il doppio di un’altra è poco “igienico”. Ad esempio, con un’inflazione allo 0,1% dovremmo preoccuparci se gli alimentari crescono dello 0,4%? Altro tema: produttività. A chi è preoccupato della produttività lungo la filiera agroalimentare, che crescerebbe di meno, chiedo: rispetto a cosa? E, poi, di che produttività stiamo parlando? Posso solo suggerire che i dati ufficiali indicano che il prodotto del lavoro per unità standard di lavoro nell’aggregato del commercio all’ingrosso e al dettaglio tra il 2016 e il 2024 è cresciuto del 15,1%, nella manifattura del 2%, nel totale dell’economia del 3%. Il problema non sono i prezzi: ma il reddito da lavoro in termini di potere d’acquisto che subisce la dittatura della produttività. Con un mercato del lavoro ai massimi, spread a 90 punti, redditi reali complessivi comunque crescenti, anche grazie ai rinnovi contrattuali, e inflazione sotto controllo direi proprio che il sistema produzione-ingrosso-distribuzione stia funzionando piuttosto bene.
Mariano Bella
direttore Ufficio studi Confcommercio