L'Ue toglie un miliardo alla Spagna per non aver toccato le accise sul diesel

Luciano Capone e Carlo Stagnaro

Bruxelles ha tagliato di 1,1 miliardi il Pnrr spagnolo perché il governo Sánchez non ha allineato le tasse su benzina e gasolio, come invece ha fatto il governo Meloni

La Commissione europea ha tagliato di 1,1 miliardi di euro (su un totale di 24) la quinta rata del Pnrr spagnolo perché il governo di Pedro Sánchez non ha rispettato due obiettivi: la digitalizzazione delle amministrazioni regionali e locali (626 milioni) e l’equiparazione delle accise su gasolio e benzina (460 milioni). Questo secondo aspetto è particolarmente interessante per l’Italia che, attraverso la delega fiscale, ha avviato un graduale percorso di convergenza tra i due balzelli. L’iniziativa, che anche nel nostro caso deriva da un impegno del Pnrr (Missione 7, Riforma 2), ha suscitato grandi proteste da parte dell’opposizione. Vale quindi la pena ricostruirne gli obiettivi e i passi attuativi. Storicamente, le accise sui carburanti sono state un efficace strumento per generare gettito: ogni volta sono state riviste al rialzo per ricavarne risorse aggiuntive da destinare a finalità le più varie.

Tuttavia, poiché il consumo di carburanti produce anche emissioni di inquinanti locali e di CO2, nei fatti le accise agiscono anche come una forma di tassazione ambientale. Per questo, da tempo la Commissione europea spinge per allinearle su uno stesso livello: infatti, le esternalità negative derivanti dal consumo di gasolio, pur avendo caratteristiche differenti, sono quantitativamente comparabili a quelle della benzina. Ne segue che un’accisa più bassa rispetto a quella sulla benzina agisce come un sussidio implicito per il gasolio. Questo è anche l’approccio seguito nel nostro paese per la preparazione del Catalogo dei Sussidi ambientalmente dannosi (Sad), un rapporto periodico del ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica che ha sempre caldeggiato tale riforma.

Pur spingendo per l’allineamento, Bruxelles non ha mai sollevato particolari obiezioni sul livello del prelievo (purché le accise siano fissate al di sopra del livello minimo condiviso nell’Ue). In Spagna, per esempio, sul litro di gasolio gravano accise per 37,9 centesimi (uno dei valori più bassi d’Europa), contro una media Ue di 52 centesimi e un livello in Italia di 63,2 centesimi (il più alto in assoluto). Sulla benzina, invece, la Spagna impone accise per 47,3 centesimi, contro una media Ue di 63,8 e un livello italiano di 71,3. È evidente, quindi, che la situazione è molto diversa: eppure, ciò che interessa alla Commissione non è il livello assoluto del prelievo, ma semplicemente la differenza fiscale tra benzina e diesel.

Per questo, Bruxelles non avrebbe nulla da obiettare se la Spagna allineasse le imposte sui due carburanti, per quanto a un livello tra il 30% e il 40% inferiore rispetto all’Italia; mentre continuerebbe a lamentarsi se l’Italia, pur avendo imposte molto più alte, le mantenesse diversificate. Che questo sia illogico è chiaro a tutti: nella scorsa legislatura europea venne a lungo dibattuta una riforma della fiscalità sull’energia, finalizzata ad armonizzare il prelievo sulle varie fonti energetiche (non solo benzina e gasolio, ma anche gas, elettricità, e via discorrendo) in proporzione al loro contenuto energetico e alle emissioni generate; tuttavia, quel progetto si arenò per le difficoltà politiche a trovare un accordo. Peraltro, si trattava di definire nuovi livelli minimi secondo criteri correnti: gli stati membri avrebbero mantenuto la flessibilità per fissare l’asticella al livello ritenuto più adeguato.

A ogni modo, sia l’Italia sia la Spagna hanno assunto, nei rispettivi Pnrr, l’impegno a risolvere questo problema. L’Italia, tra i mal di pancia della maggioranza e le feroci contestazioni dell’opposizione, ha avviato un processo di allineamento che dovrebbe portare a un aumento delle accise sul gasolio e a una corrispondente riduzione di quelle sulla benzina, per atterrare su un livello intermedio (tale comunque da garantire un piccolo gettito aggiuntivo). La Spagna, invece, non è riuscita a trovare il consenso politico: il governo Sánchez ha numeri risicatissimi, tanto che non riesce ad approvare la legge di Bilancio ed è in esercizio provvisorio da due anni, e così i socialisti hanno dovuto cedere ai ricatti dei loro alleati. Sicché oggi la Commissione loda l’Italia e punisce la Spagna.

Politicamente, è un risultato paradossale: la destra italiana, accusata spesso di disinteressarsi dei problemi del clima, ha messo in atto una manovra di razionalizzazione in senso ambientale della tassazione dei carburanti. Invece il Pd di Elly Schlein – ma anche il M5s di Giuseppe Conte e Avs di Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli – ha attaccato Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti, accusandoli non solo di aver realizzato una parte del programma della sinistra (cioè la riduzione dei Sussidi ambientalmente dannosi), ma anche di aver avuto successo laddove il suo eroe Sánchez ha fallito. In maniera un po’ populista, proprio come faceva Giorgia Meloni nei suoi video alla pompa di benzina quando era all’opposizione, la sinistra ha battezzato “tassa Meloni” la riforma fiscale dei carburanti. Eppure, se il governo avesse seguito le indicazioni di Schlein, l’Italia si sarebbe vista tagliare i fondi del Pnrr dall’Unione europea. Proprio come è accaduto alla Spagna. D’altronde lo stesso Sánchez avrebbe preferito aumentare le accise sul diesel: non gli è mancata la volontà, ma i voti.