
Ansa
Il colloquio
I contraccolpi delle tariffe Usa: l'eccesso di offerta cinese. Parla Bruni (Ispi)
L’Europa si prepara a un’ondata di sovrapproduzione e ribasso dei prezzi causata dal protezionismo statunitense, con rischi concreti di contrazione economica. Per reagire, secondo gli esperti, servono politiche industriali concrete e nuove alleanze commerciali, soprattutto con la Cina
Qualunque sia il livello finale dei dazi con gli Stati Uniti, l’Europa si deve preparare a un eccesso di offerta di beni indotto dal protezionismo. E’ questo il vero incubo dei produttori europei e la banca d’affari Goldman Sachs ha stimato che, paradossalmente, i dazi indurranno un ribasso dei prezzi all’incirca dello 0,25 per cento. “È fisiologico che accada almeno in una fase iniziale – dice al Foglio Franco Bruni, economista dell’Università Bocconi e presidente dell’Ispi –. Il surplus di offerta sarà in parte interno e in parte dovuto alla Cina, che già da qualche mese sta reindirizzando flussi di merci verso i paesi europei perché esportano meno negli Stati Uniti”. Secondo Bruni, tali flussi sono destinati a intensificarsi perché la Cina non riesce ad aumentare la domanda interna a causa di politiche di spesa tradizionalmente molto prudenti da parte delle famiglie. “Sono tornato da poco da un viaggio di studio in Cina e mi è sembrato chiaro che è un paese culturalmente ostile all’indebitamento privato e in questo momento le autorità non prevedono particolari forme di welfare per incentivare i consumi e assorbire la sovraproduzione che in buona parte sarà riorientata verso il nostro mercato. E questo, certamente, potrebbe generare una contrazione economica e problemi”.
Sempre l’analisi di Goldman, stima un calo del pil nella zona euro tra lo 0,6 e l’1,4 per cento, a seconda dei vari scenari di accordo tra Europa e Stati Uniti. “Per la verità, anche un esito severo del negoziato sarebbe preferibile al perdurare di questo caos – prosegue l’economista –. Detto questo, non sono convinto che la contrazione economica che ne potrà derivare si possa combattere abbassando ulteriormente i tassi d’interesse in una fase in cui hanno già raggiunto un livello fisiologico”. Eppure, un gruppo di economisti e studiosi, non molto tempo fa, ha suggerito alle istituzioni europee di adottare una politica monetaria espansiva anche per assecondare la svalutazione dell’euro nei confronti del dollaro in modo da compensare le mancate esportazioni in America. “Starei molto attento a influenzare i tassi di cambio, si rischia di fare solo pasticci, e anche la Bce ha fatto capire di essere contraria a questo orientamento. Tra l’altro, come si fa a contrastare la svalutazione del dollaro che sta avvenendo in maniera così repentina?”. Un effetto che a Trump fa comodo, a quanto pare. “Sì, ma ricordiamoci che la perdita di terreno del dollaro rispetto all’euro è dovuta alla fuga di investitori da quello che è sempre stato un bene rifugio fondamentale. Dal Liberation Day, un indicatore finanziario affidabile come lo ‘swap spread’ sta crescendo lentamente ma inesorabilmente e questo ci dice che gli Stati Uniti stanno diventando un paese a rischio. Neanche durante la grande crisi finanziaria, nata in America nel 2008, questo indicatore si era mai mosso sensibilmente come oggi. La caduta del dollaro riflette questa perdita di fiducia e non può essere una buona notizia per gli Stati Uniti. Un po’ stanno provando a porvi rimedio con il sistema delle criptovalute, ma è un palliativo, l’unico modo per invertire la rotta sarebbe una dichiarazione forte e chiara della Fed sulla riduzione dei tassi d’interesse negli Stati Uniti, cosa che, ovviamente, Powell non vuol fare perché teme di importare inflazione con il protezionismo commerciale”.
Secondo Bruni le dinamiche sull’altra sponda dell’Atlantico si sono talmente complicate che sarebbe inutile e rischioso per l’Europa rincorrere gli Stati Uniti sul terreno della svalutazione con l’obiettivo di favorire il commercio. “L’Europa deve affrontare i suoi fantasmi – afferma l’economista – che sono i ritardi di politica industriale e la creazione di un vero mercato unico, e non solo dei capitali, e non cercare rischiose soluzioni sul piano monetario oppure finanziario. Anche chi è stato un fautore dell’aumento di liquidità nel sistema e del debito comune, come Mario Draghi, oggi mi pare abbia spostato il focus sui problemi più concreti come la produzione, l’innovazione e le infrastrutture”. Ma ci vorrà del tempo. E intanto? “Bisogna provare a dialogare con la Cina. Non sarà facile ma fino a che gli Stati Uniti seguiranno le politiche trumpiane, noi dobbiamo provare a creare nuove relazioni economiche e commerciali. In parte lo si sta già facendo rinforzando le relazioni commerciali nell’area indopacifica e con il Mercosur. Ma è con la Cina che bisogna trovare un nuovo terreno di confronto dopo che sarà chiaro qual è il livello di tariffe che regolerà i nostri e i loro scambi con gli Stati Uniti”.