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accordi e obiettivi

Ecco tutte le mosse con cui il governo renderà il Pnrr ancora più flessibile

Giorgio Santilli

Presso il Mef potrebbe costituirsi un fondone unico per contenere tutte le risorse che non potranno essere spese entro il giugno 2026, e quindi da ridestinare. Incognite e dettagli da chiarire

La proposta italiana di revisione definitiva del Pnrr arriverà a metà luglio, ma la strada finale è già delineata dopo la conclusione della missione della commissione Ue a Roma la scorsa settimana. Di fatto esiste già un gentlemen agreement che prevede la costituzione di un fondone unico presso il Mef: conterrà tutte le risorse Pnrr che non potranno essere spese entro il giugno 2026, ma che potranno essere ridestinate – sulla base di accordi misura per misura – a obiettivi già presenti nel Pnrr e rilanciati con il rafforzamento delle riforme collegate ai singoli investimenti, con il perseguimento dei cinque obiettivi prioritari definiti dal vicepresidente Fitto per la coesione (competitività, energia, affordable housing, acqua, difesa) e con l’utilizzo delle otto opzioni che sempre Fitto ha definito nella comunicazione del 4 giugno 2025 “La strada verso il 2026” (spostamento su misure Pnrr che tirano, utilizzo di programmi concordati con le banche nazionali di sviluppo come Cdp, spostamento su progetti di coesione, difesa, satelliti, InvestEu e così via).

A quanto ammonterà questo fondone dipenderà molto dalla capacità del governo di essere convincente nella sua proposta di revisione del Pnrr: se le nuove misure proposte saranno ben delineate e strutturate, il fondone si riempirà delle risorse necessarie per finanziarle; altrimenti resterà magro. L’altra incognita è se nelle spese del fondone Giorgetti riuscirà a ricomprendere la copertura di una quota di spese militari (che si sta  allargando fino a ricomprendervi opere infrastrutturali come aeroporti e Ponte sullo Stretto). Al solito è stato il ministero delle Infrastrutture, più attrezzato di altri, a fare da battistrada nella trattativa con la Ue e ha di fatto già chiuso due linee di investimento – piano casa e acquisto di treni per il trasporto regionale – che complessivamente dovrebbero superare il miliardo di euro di spesa. Lo schema di gioco è sempre lo stesso, che altri ministeri stanno pure tentando (per esempio il ministero dell’Università e la Ricerca per gli studentati): prendere le risorse non spese per investimenti già previsti nel Pnrr, metterle su nuove misure per cui è previsto, entro giugno 2026, un impegno di spesa cogente (con tempi, regole, condizioni, soggetti attuatori e esecutori concordati con la Ue) e la possibilità poi di spendere concretamente queste risorse entro un paio di anni.

Per approvare queste misure la commissione deve vederci dentro uno “spirito riformistico” e il raggiungimento delle priorità che lei stessa detta. Torniamo ai due accordi già definiti dal ministero delle Infrastrutture che spiegano bene le logiche degli accordi. L’unico dettaglio da chiarire è quale sarà il ruolo di Cdp che la commissione Ue (e la ragioneria) vorrebbero avere dentro questi accordi in quanto istituzione “pillar assessed” (certificata cioè dalla Ue nella gestione di fondi europei). Il primo accordo del Mit dovrebbe destinare 400 milioni (minimo) di risorse assegnate ai comuni per i Pinqua (sono programmi di rigenerazione urbana comunali su immobili e zone di edilizia residenziale pubblica) che non potranno essere spese entro giugno 2026. Quei programmi saranno definanziati (e rifinanziati con risorse nazionali o altre risorse europee) e le risorse liberate andranno al Piano casa di Salvini. Oggi la casa è una delle priorità assolute dell’Unione europea – che in passato non aveva mai curato le politiche abitative ma ha capito bene che è diventata la principale emergenza sociale – e il Mit ha avuto gioco facile a rilanciare su questo obiettivo, sia pure dovendo dettagliare numero di alloggi e tempi di realizzazione (con lo stesso spirito Pnrr).

Ancora più significativo il caso dell’acquisto di treni. Non solo perché accompagnato a una radicale riforma delle procedure di programmazione ferroviaria in Italia. Anche per la portata innovativa della misura specifica. Il Mit chiede di destinare proprie risorse Pnrr (derivanti da altri investimenti bloccati) a questo obiettivo per quasi un miliardo aggiuntivo. I fondi andrebbero a una società pubblica di nuova costituzione, una Rosco (Rolling Stock Company), che avrebbe il compito di comprare i treni per tutto il trasporto regionale e poi “girarli” alle imprese ferroviarie che svolgono il servizio. Oltre a presentare indubbi vantaggi di scala, l’idea piace a Bruxelles soprattutto per un’altra ragione: favorirebbe un’effettiva apertura dei mercati regionali a nuovi operatori, dopo 30 anni di tentativi falliti, consentendo di dare piena attuazione alla nuova stagione di gare che si apre dal 2026. Il vantaggio per i newcomers rispetto all’incumbent Trenitalia sarebbe quello di vedersi azzerata la principale barriera all’ingresso del mercato, l’ingente investimento in materiale rotabile. Nella soluzione escogitata, i treni sarebbero e resterebbero di proprietà pubblica, mentre si potrebbe pensare di aprire al capitale privato quote minoritarie della Rosco (che è stata inventata nel Regno Unito ai tempi della privatizzazione e ha poi funzionato bene in Svezia nella versione pubblica). Per Bruxelles sarebbe un successo clamoroso riuscire ad aprire i mercati ferroviari regionali alla concorrenza, un modello da esportare in altri paesi.
 

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