Ansa

Inflazione nel mirino

La Bce non cambia la strategia monetaria ma offre tre spunti rilevanti di riflessione

Lorenzo Bini Smaghi

Nell'ultimo documento pubblicato dalla Banca centrale europea non ci sono svolte radicali ma piuttosto conferme di scelte in gran parte già fatte

La Banca centrale europea ha appena pubblicato l’ultima revisione della sua strategia di politica monetaria. Come previsto, non ci sono cambiamenti radicali ma piuttosto conferme di scelte in gran parte già fatte. Emergono comunque almeno tre spunti interessanti su cui riflettere.

Il primo è che la Bce non intende dare ai mercati indicazioni troppo precise sulle sue prossime mosse, al ribasso o al rialzo, dei tassi d’interesse. Ciò potrà deludere quegli operatori e commentatori che ritengono che la Banca centrale debba annunciare le sue decisioni con largo anticipo e non prendere di sorpresa i mercati. Tuttavia, se la Bce assecondasse tale richiesta, rischierebbe, in un contesto di elevata incertezza, di farsi trascinare in una comunicazione continua, che inevitabilmente ridurrebbe la rilevanza del messaggio. Ciò minerebbe, di conseguenza, la sua credibilità.  I mercati finanziari dovranno dunque fare lo sforzo di elaborare le proprie previsioni, nella consapevolezza che, in ultima istanza, la Banca centrale agirà con l’obiettivo prioritario di contrastare l’inflazione. 

Il secondo spunto, in parte legato al primo, riguarda l’intenzione della Banca centrale di arricchire la sua analisi con un certo numero di scenari alternativi, per simulare evoluzioni più estreme del quadro macroeconomico. Se l’uso degli scenari a fini interni può essere utile, in particolare per capire l’effetto di eventuali errori di previsione, non è chiaro come ciò possa migliorare il processo decisionale e soprattutto la comunicazione esterna della Banca centrale. Se i modelli econometrici si sono rivelati fragili in passato, soprattutto per fare previsioni, rischiano di essere ancor più imprecisi nella simulazione di shock estremi, che non hanno precedenti nell’esperienza storica. Non è pertanto ovvio che la pubblicazione di questi scenari aggiunga informazioni utili per la comprensione della politica monetaria e non rischi, al contrario, di aggiungere ulteriore foschia alla comunicazione. 

Il terzo spunto riguarda una parola chiave usata nel documento, che si riferisce alla forza (o potenza, in inglese forcefulness) con la quale la banca centrale intende reagire a scostamenti significativi e persistenti dell’inflazione rispetto all’obiettivo del 2 per cento. Non è chiaro, in particolare, in cosa consista tale intenzione. Il documento fa riferimento alle misure messe in atto nell’ultimo decennio dalla stessa Banca centrale, sia quando l’inflazione era eccessivamente bassa e quando prevalevano pressioni deflazioniste, come nel periodo 2014-2018, sia quando l’inflazione è aumentata fortemente, come nel 2021-22. Tuttavia, col senno di poi, quelle misure, e le modalità con le quali furono messe in atto in entrambe le circostanze, difficilmente possono essere qualificate come forti o potenti. 

Nello scorso decennio, ad esempio, a fronte di tassi d’inflazione molto bassi e di rischi deflazionistici, la Bce si dilettò a lungo con misure che si rivelarono poco efficaci, come i tassi d’interesse negativi e gli annunci sull’evoluzione dei tassi (la cosiddetta forward guidance), prima di decidere, finalmente all’inizio del 2015, di acquistare – a quel punto si, con forza e determinazione – titoli di stato dei paesi membri (il cosiddetto Quantitative easing) per accrescere la quantità di moneta in circolazione, come aveva fatto la Riserva federale americana sin dal 2008. L’auspicio, nel caso si dovesse ripetere un nuovo rischio deflazionistico, è che la Bce faccia ricorso rapidamente allo strumento più efficace, senza passare prima da una riduzione dei tassi d’interesse su livelli negativi. 

Per quel che riguarda l’esperienza inflazionistica più recente, del 2022, la restrizione monetaria fu ritardata dall’impegno che la Bce aveva preso nei confronti dei mercati a mettere prima fine alla politica di acquisti sul mercato. I tassi d’interesse furono aumentati solo a fine luglio 2022, dopo otto anni di tassi negativi, quando l’inflazione aveva ormai già superato l’8 per cento. Il perdurare di tassi d’interesse inferiori all’inflazione, attesa e prevista, e degli acquisti di titoli di stato contribuì ad alimentare le pressioni inflazionistiche nel 2022. Anche in questo caso, ci si può aspettare che in futuro la Banca centrale agisca più tempestivamente e con maggior determinazione per contrastare l’inflazione e non si leghi più le mani con impegni che rischiano di rivelarsi controproducenti.

In ogni caso, al di la delle strategie e degli impegni più o meno nuovi, anche per la politica monetaria vale il vecchio detto inglese sulla qualità del pudding, secondo cui si può dare un giudizio vero solo dopo averlo mangiato.

Di più su questi argomenti: