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l'analisi
Dollaro debole e aumento del deficit pubblico il prezzo da pagare per l'America First di Trump
La strategia americana mira a favorire le esportazioni e sostenere la domanda interna di titoli di Stato. Il piano include pressioni sulla Fed per abbassare i tassi e riforme per coinvolgere maggiormente le banche nel finanziamento del debito, con implicazioni anche geopolitiche
Quando si parla di Donald Trump, siccome tutto quello che fa e dice appare paradossale e scomposto, si corre sempre il rischio di perdere d’occhio la strategia che la Casa Bianca sembra invece avere chiara. E questa strategia mette in conto che per America First c’è un prezzo da pagare: un dollaro più debole e l’aumento del debito pubblico. “Non so quanto razionale, ma una logica esiste – spiega al Foglio Carlo Altomonte, economista dell’Università Bocconi – Gli Stati Uniti stanno lasciando che il dollaro si deprezzi perché puntano a esportare di più, ma allo stesso tempo fanno in modo di preservare il dominio sulle altre valute incoraggiando gli acquisti di beni attraverso le stablecoin, che sono cripto asset ancorati alla moneta americana, e in questo modo spingono anche la domanda di titoli di stato: dopo gli scossoni di aprile, sono molto attenti a mantenere calmo il mercato dei Treasury”. In realtà, con la nuova legge di bilancio – battezzata “Big, beautiful bill”, come se Giorgia Meloni definisse la ‘Grande bellezza’ la manovra economica – il debito pubblico aumenterà di tre o quattro trilioni di dollari. Il timore sulla sua sostenibilità futura è diffuso anche tra i repubblicani.
“Le istituzioni economiche internazionali non vedono un tema di default americano almeno fino al 2026 e quello che sta cercando di fare Trump è tagliare i sostegni alle classi più povere aumentando il potere di acquisto della classe media”, osserva l’economista. Ma questo non avrà un impatto negativo sui consumi? “E’ cinico dirlo, ma la classe media consuma di più”. Come mai l’inflazione non aumenta nonostante le politiche protezionistiche? “Gli effetti si vedranno probabilmente in autunno, c’è un lasso temporale da attendere sia perché sui dazi ci sono stati diversi annunci discordanti sia perché gli americani avevano fatto ingenti scorte di beni che vengono dall’estero. Non a caso, Trump vorrebbe che i tassi fossero abbassati prima che questo effetto si paleserà”.
In ogni caso, il presidente americano e il suo entourage sembrano non temere quel “momento Truss” sui mercati che molti avevano presagito. “In realtà, lo temono eccome – dice Altomonte – Altrimenti avrebbero fatto una manovra fiscale ancora più espansiva, com’era nelle intenzioni. E, comunque, si capisce che vivono le aste dei Treasury con grande apprensione sperando che i rendimenti non risalgano ai livelli di inizio anno”. Al momento i rendimenti delle emissioni a 10 e a 30 anni (che in primavera si erano spinti oltre le rispettive soglie del 4,5 e del 5 per cento) sono scesi al 4,3 e al 4,8 per cento. Sono comunque livelli elevati. In più, la Borsa di Wall Street, che aveva avuto un grande recupero dopo i crolli di qualche mese fa, ieri è tornata sotto pressione per i dati deludenti sul lavoro e per le tensioni al Congresso sulla legge di spesa.
Secondo Antonio Cesarano, chief global strategist di Intermonte, alla tela che sta tessendo Trump manca un pezzo: fare del sistema bancario americano un grande acquirente di debito pubblico attraverso la riforma che consentirà di alleggerire l’impatto sul patrimonio degli istituti del possesso di titoli. “I banchieri sono d’accordo, ma vorrebbero anche guadagnarci qualcosa e questo succede solo se i tassi d’interesse si abbassano facendo aumentare il valore di bilancio delle obbligazioni. E’ la vera ragione per cui Trump sta mettendo sotto pressione Powell, sa che il successo della sua strategia dipende da quanto riuscirà ad aumentare la capienza interna del mercato dei Treasury. Così potrà dimostrare che non esiste un problema di sostenibilità del debito”. Messa così, tante cose si spiegano. “Non dimentichiamo che esiste anche una ragione geopolitica di tutto questo”. Quale? “Gli Stati Uniti si sono preoccupati dalla possibile invasione di Taiwan da parte della Cina, è lì che in futuro concentreranno le forze e per farlo devono disimpegnarsi dagli altri focolai, compresi quelli nei dintorni dell’Europa. Basta leggere le linee guida dell’Heritage Foundation per capire che il riequilibrio della bilancia commerciale non è l’unico obiettivo”.