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L'editoriale del direttore
Il disordine è ovunque, ma i mercati ci dicono che il catastrofismo non ha futuro. Numeri da sballo
Le borse di tutto il mondo vanno bene, quelle americane sono tornate a macinare record su record, nonostante l'incertezza quotidiana e il caos trumpiano. Trasformare l’instabilità in opportunità è possibile. Pazzia? Forse no
Si può essere ottimisti, e fiduciosi, anche quando l’instabilità ti travolge, il disordine ti circonda, l’incertezza ti immobilizza? C’è un fenomeno da sballo che permette di legare con un unico filo storie apparentemente scollegate tra loro che riguardano tratti della stagione pazza in cui viviamo da molti anni a questa parte. Una stagione pazza fatta di disordine, caos, crisi, collassi, guerre, conflitti, emergenze sanitarie, all’interno della quale vi è ormai una costante apparentemente incomprensibile: l’entusiasmo dei mercati. La domanda, anche in queste ore, è legittima ed è centrale: se è vero che i mercati, intesi come valore nominale delle aziende quotate e delle obbligazioni che esistono nel mondo, sono il termometro che misura la fiducia sul futuro, come è possibile che nonostante l’incertezza quotidiana i mercati, allegri e spensierati, siano lì a dirci, in modo sfacciato, che il futuro è uno sballo? La domanda è dunque d’obbligo: siamo impazziti noi o sono impazziti loro?
I dati che suggeriscono questo tipo di riflessione sono tre. Il primo è clamoroso e poco investigato. Le borse di tutto il mondo, nonostante tutto quello che accade attorno a noi, stanno andando così bene da aver superato stabilmente come capitalizzazione il valore del pil mondiale (secondo i dati Bloomberg e Goldman Sachs, la capitalizzazione complessiva delle borse mondiali ha superato i 113.000 miliardi di dollari, a fronte di un pil globale di circa 105.000 miliardi di dollari).
Il secondo dato è interessante e riguarda gli Stati Uniti e l’Europa. Nonostante il caos trumpiano, dopo un lungo sali e scendi, le borse americane sono tornate a macinare record su record e due giorni fa il Nasdaq Composite ha toccato un altro picco storico a quota 19.546,27. Stesso discorso in Europa. Nonostante le minacce simmetriche, da un lato il trumpismo che sogna di castigare i parassiti europei e dall’altro lato Putin che minacciando l’Ucraina minaccia l’Europa intera, le borse europee da mesi non danno segnali di sconforto e dall’inizio dell’anno il bilancio dello Stoxx Europe 50 è di più dodici per cento. Il terzo dato, più piccolo ma significativo, riguarda Israele, dove, nonostante i missili, gli indici azionari hanno raggiunto il livello più alto mai raggiunto nelle ultime cinquantadue settimane. E dunque la domanda resta: siamo impazziti noi o sono impazziti loro?
Due giorni fa, l’Economist ha provato a regalare qualche spunto per ragionare sul tema, offrendo ai lettori un titolo accattivante: “Gli investitori ignorano le notizie che cambiano il mondo. E giustamente”. Svolgimento: quella che sembra una corsa sfrenata verso le azioni, persino in momenti di tensione e conflitto internazionale, è in realtà una presa di coscienza del potere del capitalismo. Lo spunto è interessante ma forse non è esaustivo. Perché dietro la corsa dei mercati si nasconde un fenomeno che riguarda il grande paradosso della nostra contemporaneità: il massimo dell’instabilità in un momento di grande fiducia nel futuro. Trump minaccia l’Europa? Niente paura: vedrete che queste minacce faranno diventare l’Europa più grande. Israele entra in guerra con l’Iran? Niente paura: vedrete che il tentativo di disarmare l’Iran aiuterà ad avere maggiore stabilità. Trump gioca con i dazi? Niente paura: alla fine anche Trump sa che un paese in cui il 25 per cento delle azioni sono in mano agli stranieri e in cui il 25 per cento del debito americano è in mano ai non americani, grazie alla globalizzazione, non può sfidare i mercati: li deve assecondare e deve fermarsi quando questi gli indicano che ha superato il limite. I mercati, da anni, sono il termometro di un ottimismo che esiste, e che non vogliamo vedere. E i mercati, in fondo, da anni sono lì a indicarci una frontiera necessaria nella stagione del disordine globale: trasformare l’instabilità in opportunità è possibile, anche quando si vive nel caos,e avere sfiducia nel futuro, anche quando il caos sembra soffocarci, non è solo un errore: è semplicemente un modo per non sfruttare un affare che è lì di fronte a noi e che non abbiamo voluto vedere.

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