
A sorpresa
L'Eurobond made in Banca d'Italia ora piace anche ai “falchi” tedeschi della Bce
Isabel Schnabel (Bce) sposa l’idea di Draghi e Panetta: emettere debito comune per ampliare i mercati finanziari europei, rafforzare l'euro per finanziare i “beni pubblici europei” (come la difesa)
L’Unione Europea dovrebbe emettere più debito comune per rafforzare i suoi mercati finanziari, per far assumere all’euro un ruolo più importante come valuta di riserva globale e per finanziare nuove spese comuni. E’ questo l’identikit dell’European productivity compact, il “Patto europeo per la produttività” lanciato a dicembre 2024 dal governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta.
L’aspetto interessante è che l’idea di Panetta viene ora rilanciata, pressoché negli stessi termini, da Isabel Schnabel, membro tedesco del Comitato esecutivo della Bce. “Abbiamo bisogno di una maggiore quantità di debito comune”, ha detto durante una conferenza a Bruxelles giovedì scorso. Intervenendo a un incontro sulla politica monetaria in un mondo più frammentato, l’economista tedesca ha ricordato che esiste già una “quantità significativa” di bond Ue, messi per finanziare la ripresa post Covid (il NgEu), ma il mercato obbligazionario dei titoli europei è poco liquido (l’ammontare di debito Ue è circa 1.000 miliardi di euro, a fronte di un mercato del debito Usa enorme pari a circa 29.000 miliardi di dollari).
Pertanto, soprattutto in questa fase di enorme incertezza sui Treasury americani e sul dollaro causata dalla politica economica di Donald Trump, “per assumere un ruolo ancora più importante nel sistema finanziario internazionale – ha detto Schnabel – avremmo bisogno di una maggiore quantità di debito comune”. E cosa fare con questo nuovo debito? Secondo la responsabile delle Operazioni di mercato della Bce, invece di essere trasferite ai singoli paesi, le nuove emissioni di debito dovrebbero servire a finanziare i “beni pubblici europei”: l’esempio più chiaro e di più pressante attualità è la difesa.
Come già detto, non si tratta di una proposta particolarmente innovativa. Già Mario Draghi, nel Rapporto sulla competitività, aveva indicato che per massimizzare la produttività e rafforzare la Capital market union è necessaria l’emissione di un safe asset europeo per finanziare obiettivi strategici comuni europei nell’ambito dell’innovazione, della transizione e della difesa. Sulla stessa lunghezza d’onda, Fabio Panetta – in un discorso a Barcellona a fine 2024 e più recentemente nelle Considerazioni finali – era entrato nel dettaglio mostrando anche i vantaggi economici di un’operazione del genere: “Un mercato dei capitali integrato, con al centro un titolo comune europeo, ridurrebbe i costi di finanziamento per le imprese, attivando investimenti aggiuntivi per 150 miliardi di euro all’anno e innalzando, a regime, il pil dell’1,5 per cento. L’effetto sul pil potrebbe risultare fino a tre volte maggiore se i nuovi investimenti fossero destinati a progetti ad alto contenuto tecnologico”. Si tratta di replicare il modello di riforme più investimenti alla base del Next Generation Eu, ma con obiettivi più ambiziosi: innovazione tecnologica, sicurezza energetica, difesa.
A fianco alle necessità, c’è anche un’opportunità: con un mercato dei capitali più efficiente, l’Europa può offrire migliori opportunità a risparmiatori e investitori approfittando della crisi del dollaro come architrave del sistema monetario internazionale. Proprio pochi giorni fa, la Banca d’Italia ha pubblicato lo studio alla base della proposta di Panetta che quantifica il vantaggio di un’emissione comune (“Eurobond: come sfruttarne al meglio il potenziale?”, di Pallara, Pericoli e Tommasino): ipotizzando un’emissione da 1.200 miliardi di euro (7 per cento del pil), si risparmierebbero circa 40 punti di spread rispetto agli attuali eurobond, con un vantaggio complessivo di circa 20 miliardi di euro. I guadagni non sarebbero per tutti, dato che il costo di emissione sarebbe comunque superiore di circa 20 punti a quello dei titoli nazionali per paesi come la Germania e i Paesi Bassi, ma si possono prevedere meccanismi di compensazione o redistribuzione dei risparmi sulla spesa per interessi. Il punto, ovviamente, non è tanto tecnico ma politico, dato che ad esempio in Germania c’è una storica avversione a qualsiasi forma di debito comune.
Ma l’aspetto nuovo è appunto questo: che proposte del genere, provenienti dall’Italia, non sono discusse solamente a Roma ma vengono accolte a Francoforte da esponenti tedeschi come la Schnabel, che già ad aprile aveva invitato i policy maker europei a creare le condizioni per un mercato obbligazionario europeo più grande e liquido. Il fatto che i paesi periferici, a partire dall’Italia, siano impegnati in un percorso di risanamento dei conti pubblici dà maggiore credibilità alla proposta e forse può vincere le diffidenze e le resistenze nordeuropee.
Non a caso è questo il punto su cui fa leva il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti quando dice che l’Italia non intende rinunciare all’equilibrio dei conti, compromettendo i risultati ottenuti finora, per gli aumenti di spesa per la difesa chiesti da Bruxelles: “Qualsiasi sia l’obiettivo che ci daremo, data la notevole entità degli investimenti da realizzare e la loro natura di bene pubblico, è auspicabile fare leve innanzitutto sul bilancio dell’Unione”, ha detto il ministro. Se prima la Germania temeva gli Eurobond per gli squilibri fiscali dell’Italia, ora è l’Italia a chiedere gli Eurobond in nome del rigore dei conti.