L’ad di Unicredit Andrea Orcel (Foto Roberto Monaldo / LaPresse) 

Cortocircuiti italiani

I tre fronti di Orcel tengono in ostaggio il risiko bancario

Stefano Cingolani

La battaglia tedesca con Merz, il passo indietro possibile su Bpm e poi Generali. Cercasi una strategia. Il Mef tra pressioni e silenzi 

Con una strategia che avrebbe fatto rizzare i boccoli sulla testa di Carl Clausewitz, il gran capo di Unicredit Andrea Orcel combatte contemporaneamente su tre fronti. Quello tedesco ha come bersaglio la Commerzbank, quello domestico il Banco Bpm, il terzo (le Assicurazioni Generali) è anch’esso italiano, ma esteso anche oltre frontiera. I tre fronti sono intrecciati e ciò rende ancor più difficile schierare le truppe. Orcel comincia a mostrare chiari segni di insofferenza. Ieri ha dato uno scrollone alla partita per la ex Banca popolare di Milano attorno alla quale il governo, sotto una fortissima pressione della Lega, ha eretto la barricata del golden power. “La probabilità di proseguire con l’offerta pubblica di scambio è al 20 per cento. Se non ci sarà chiarezza da parte del governo ci tireremo indietro”, ha affermato a margine della Goldman Sachs European Financial Conference 2025.

   
Orcel aspetta anche il parere europeo; a Bruxelles sono cauti e lenti nelle decisioni, ma potrebbe non tardare. Lunedì l’assemblea della Mediobanca dovrà decidere sull’acquisizione di Banca Generali (ieri è arrivato il sì di Mediolanum e del fondo sovrano norvegese). Nei giorni scorsi da piazzetta Cuccia è partito un esposto in procura ipotizzando una presunta azione di “concerto” tra Francesco Gaetano Caltagirone e la Delfin della famiglia Del Vecchio. L’intera operazione ostacola di fatto l’offerta del Montepaschi su Mediobanca e ha un impatto sugli equilibri proprietari del Leone di Trieste. Orcel è in gioco con una quota ufficialmente stimata tra il 6 e 7 per cento e ha detto di non aver intenzione di scalare la compagnia. Un intrico complicato, diamo un’occhiata ai vari dossier. 


Martedì il cancelliere Friedrich Merz è stato più chiaro del solito e ha considerato ostile la scalata a Commerzbank; quindi è contrario. In Germania non c’è il golden power, ma Merz non fa solo moral suasion. La seconda banca tedesca è stata salvata dal governo durante la crisi del 2008, ci sono voluti quindici anni e molti miliardi dei contribuenti per risanarla, tornata all’utile è stata privatizzata l’anno scorso e ha fatto irruzione l’Unicredit senza avere alle spalle nemmeno il governo italiano. Al contrario, ce l’ha apertamente contro. Un atteggiamento che sorprende: una coalizione che agita l’idea sovranista di nazione è la prima a non fidarsi di una banca nazionale? Come si può pretendere che siano i tedeschi a dare via libera? “Ma se è stato Berlino a chiamarci”, ha sbottato ieri l’ad di Unicredit. “Vorrei capire perché alla privatizzazione siamo stati gli unici invitati dal Finanzministerium come investitori istituzionali. Parlavamo con i ministri delle finanze da molto tempo. Ci è stato chiesto di aumentare la nostra offerta (originariamente 9 per cento, arrivata al 28, ndr), perché il collocamento precedente non era andato bene. Quindi, continuo a non capire questo discorso dell’opacità e dello stile o altro”. In realtà, già il ministro Christian Lindner aveva messo le mani avanti. Grande è la confusione anche nel cielo sopra Berlino.

 
 Su Bpm Orcel sta discutendo con il governo italiano, è disposto ad accettare alcune condizioni che riguardano gli sportelli e la gestione del risparmio. Il punto più controverso riguarda la Russia. Giorgetti gli ha chiesto di cessare ogni attività. E il banchiere ribatte che è già avvenuto nel 2022. “Restano 800 o 900 milioni di esposizione creditizia residua, che si sta esaurendo – ha precisato ieri – Credo che sia sufficiente. Abbiamo inoltre cessato tutti i pagamenti, tranne quelli in euro e dollari, e siamo passati da 25 miliardi a trimestre verso i 6 miliardi. Quei pagamenti devono continuare, perché aziende in Germania, in Italia, in Francia operano ancora lì e ne hanno bisogno”. Un argomento usato da Antonio Tajani critico sull’uso dei poteri speciali per una operazione tutta italiana.


 Ma la madre di tutte le battaglie, per l’ennesima volta, si combatte tra Milano e Trieste. Che cosa ha in mente Orcel? Ha sempre detto che considera la sua “una partecipazione finanziaria”, però molti si chiedono se voglia fare da arbitro tra i duellanti o da pivot in un nocciolo duro alla francese. Secondo l’economista Marcello Messori per dare stabilità alle Generali potrebbe servire un nucleo di azionisti forti con Unicredit, Caltagirone e la Delfin guidata da Francesco Milleri. E’ ancor più importante dopo che Mediobanca avrà tagliato il cordone ombelicale. Lo scambio con Banca Generali dà in mano al compagnia il 6,5 per cento di azioni proprie, potrebbe cederle agli attuali azionisti, sparpagliarle sul mercato o affidarle a un nuovo partner. Se finissero all’Unicredit, Orcel prenderebbe pari pari il posto di Alberto Nagel. “Sembra che sia previsto un vincolo sulla movimentazione di queste azioni proprie, contenuto proprio nell’offerta pubblica di scambio”, sostiene Messori. Molti ipotizzano che possa entrare in campo anche Intesa Sanpaolo rendendo il nocciolo più equilibrato e ancor più duro. Lunedì all’assemblea di Mediobanca cadrà qualcuno dei sette veli che avvolgono la Salomé della finanza italiana?