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l'acquisizione
La storia di Prima Assicurazione spiega i due pesi del governo sul risparmio “protetto”
Non è non è una compagnia assicurativa in senso tecnico, ma anche in questa vendita (dove i pretendenti sono esteri) c'è in ballo il risparmio degli italiani. Resta da capire se l'esecutivo imporrà delle prescrizioni come ha fatto per Unicredit su Banco Bpm
Nelle ultime settimane sta andando in porto la vendita di Prima Assicurazione e i pretendenti rimasti in gara sono tutti gruppi esteri: la tedesca Allianz e le francesi Axa e Cnp Assurance. Anzi, secondo indiscrezioni di stampa, Cnp Assurance sarebbe in pole position con l’offerta più ricca. Advisor dell’operazione è Goldman Sachs, che è anche socia di minoranza di Prima Assicurazione insieme a Blackstone, mentre il maggior azionista è l’imprenditore Teodoro D’Ambrosio. Essendo il settore assicurativo e bancario di interesse nazionale per le norme che regolano il Golden Power in Italia, l’acquisizione – secondo quanto risulta al Foglio da fonti legali – dovrà essere notificata al Mef che potrà decidere se esercitare o meno i poteri speciali. Come si regolerà il governo Meloni? Imporrà delle prescrizioni come ha fatto per Unicredit su Banco Bpm tanto più che l’acquirente è estera? In fondo, anche qui c’è in ballo il risparmio degli italiani. Finora non si hanno notizie di contrarietà da parte dei Palazzo Chigi, come, ad esempio, è trapelato per l’ipotesi di aggregazione tra Generali e Natixis. E’ dunque una questione di dimensione? Prima Assicurazione ha una raccolta premi di 1,3 miliardi, lontana da quella dei grandi gruppi. Inoltre, non è una compagnia assicurativa in senso tecnico perché distribuisce e non produce polizze. Ma è pur sempre un intermediario finanziario, vigilato da Ivass-Banca d’Italia e, soprattutto, opera nel comparto insurtech indicato tra quelli strategici nel dpcm del 2020 che ha esteso il potere di intervento del governo al settore bancario-assicurativo. Erano i tempi della pandemia e fu il governo Conte per primo a decidere di proteggere gli operatori finanziari nazionali da scalate estere.
Oltre a trasporti, tlc ed energia, furono messe sotto tutela le banche e le assicurazioni con una norma transitoria ma che è diventata definitiva. Poi, a marzo del 2022, il governo Draghi ha rafforzato il potere di intervento del governo facendo in modo che in caso di operazioni strategiche la notifica al Mef fosse obbligatoria anche se l’acquirente è nazionale. Ed è su questa norma che si è incardinata l’azione dell’attuale governo su Unicredit-Banco Bpm. Non è un caso che il ministro Giancarlo Giorgetti abbia detto più volte che la legge per la tutela dell’interesse nazionale non l’ha inventata lui ma l’ha trovata già fatta (rivendicando, però, di averla votata a suo tempo). Forse in quel momento di gravi tensioni internazionali, Draghi puntava a garantire il corretto funzionamento delle catene di fornitura del paese. Forse, ma nessuno può saperlo, non immaginava che estendere i poteri speciali ad acquisizioni e fusioni domestiche avrebbe un giorno condizionato quel consolidamento bancario che oggi è lui stesso ad auspicare per creare campioni nazionali ed europei. Quando poi si è insediato l’esecutivo di Giorgia Meloni, a novembre 2022, furono in molti a mostrare preoccupazione per l’uso che un Golden Power potenziato avrebbe potuto fare una forza politica come Fratelli d’Italia che nella relazione del Copasir del 2020 aveva lanciato l’allarme sull’invasione dei francesi nelle banche italiane.
La particolare attenzione della Lega nei confronti di Bpm si è saldata in questo quadro generale ed ecco i paletti posti al gruppo Unicredit, che si è rivolto al tar del Lazio che deciderà nel merito il 9 luglio. Precedenti pronunce dello stesso tribunale amministrativo su altre vicende hanno, a quanto risulta, chiarito che la Presidenza del Consiglio può esercitare un forte potere discrezionale sull’uso del Golden Power. In pratica è “un atto politico”. Poi, certo, è in corso un confronto tra Unicredit e Palazzo Chigi e si vedrà, anche se la notizia trapelata di Unicredit pronta a cedere 200 filiali per accreditare la fusione all’antitrust europeo non facilita il dialogo con un governo che si mostra sensibile al tema del credito sui territori. In questo frangente, la vendita di Prima Assicurazione, che è un caso di successo italiano dell’innovazione tecnologica applicata alle assicurazioni, rischia di diventare il simbolo dell’approccio con due pesi e due misure adottato dal governo, tanto più che a comprare la società potrebbe essere proprio un “invasore” francese. Per la verità, con i francesi non è sempre scontro duro. Con Vivendi è stata trovata una soluzione per l’uscita da Tim e con Credit Agricole avviato un dialogo per mantenere l’autonomia di Bpm. Ma è proprio questa discrezionalità che alla lunga diventa incomprensibile per gli investitori, sia nazionali sia esteri.