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Troppo debito e troppe spese

Il taglio del rating e l'aumento del deficit fanno salire lo spread Usa

Stefano Cingolani

Dopo Fitch e S&P, anche Moody’s declassa i titoli federali: da Aaa a Aa1. un gradino sotto ma sufficiente per sollevare una nuova ondata di sfiducia. Il segretario al Tesoro punta il dito sull'eredità lasciata da Biden, ma una spinta notevole l’ha data lo stesso Trump nel suo primo mandato, con tagli fiscali mai coperti

Buy America o Sell America? E’ cominciata la grande vendita di titoli di stato federali? Sui mercati i tassi a lungo sono saliti oltre il 5 per cento, i rendimenti a 10 anni sono al 4,5 per cento. Lo spread con i Bund decennali tedeschi, è arrivato a 190 punti base, quello italiano ieri era a 101,5. Gli Stati Uniti, non la Germania, stanno peggio dell’Italia sul mercato obbligazionario. Donald Trump è tornato dal suo tour arabo con la borsa piena di affari se non proprio conclusi, quanto meno promessi. Ha parlato di 1.400 miliardi di dollari che entreranno nelle tasche del made in Usa (e in parte nelle sue). Mentre l’Air Force One (quello vecchio non ancora il “palazzo dei cieli” che l’emiro del Qatar gli ha offerto) tornava a casa, Moody’s declassava i titoli federali da Aaa a Aa1: un gradino sotto, sufficiente per sollevare una nuova ondata di sfiducia.

Non è la prima agenzia a togliere agli Stati Uniti le mitiche tre A. Due anni fa era stata stata Fitch, mentre Standard & Poor’s le aveva già mollate nel lontano 2011, quando la crisi finanziaria non era ancora finita. Tuttavia è la prima volta dal 1919 che tutte le principali agenzie di rating hanno abbassato la loro valutazione: niente più tripla A, il massimo dei voti. E oggi la decisione suona come una sanzione alla politica economica di Donald Trump. Le borse hanno aperto in negativo, poi gli indici hanno oscillato attorno allo zero, è sceso anche il dollaro, mentre salivano i rendimenti dei titoli federali. Debole anche l’Europa solo il Dax tedesco è risultato leggermente positivo

Troppo debito, troppe spese, ha scritto Moody’s e non si vede all’orizzonte nessuna concreta possibilità che la tendenza venga invertita, anche perché il piano fiscale presentato alla Camera dei rappresentanti invece di ridurre il disavanzo pubblico (e di conseguenza il debito) lo aumenta di ben 3 mila miliardi di dollari di qui al 2034. La prima reazione è stata gettare la colpa su Joe Biden, che ha avuto oltre tutto la terribile sentenza di un cancro aggressivo alla prostata. E’ vero che l’ex presidente democratico ha aggravato sia il deficit sia l’indebitamento con le sue politiche di sostegno alle energie alternative e alle tecnologie informatiche, nel tentativo di accogliere la sfida cinese. Ma una spinta notevole l’aveva data lo stesso Trump nel suo primo mandato, con tagli fiscali mai coperti. Il segretario al Tesoro Scott Bessent, che pure certe cose le conosce, ha detto che Moody’s arriva in ritardo. Non intendeva in ritardo rispetto a Fitch e S&P, ma cercava di coprire i primi cento disastrosi giorni della seconda amministrazione Trump sostenendo che si tratta di un giudizio sull’eredità lasciata da Biden.

 

                 

 

Se diamo un sguardo a quel che sta accadendo al Congresso dobbiamo concludere che Moody’s ha agito in anticipo. La commissione bilancio della Camera ha lavorato di domenica per votare un programma di taglia e cuci presentato dall’Amministrazione (“grande e bello” lo aveva definito il presidente). La proposta è passata per un solo voto: 17 a 16; adesso deve andare alla Camera bassa dove i Repubblicani hanno una maggioranza di 220 contro 213, troppo risicata per dare sicurezza. Non è che manchino i tagli, soprattutto alla sanità (il programma Medicaid) e all’assistenza alimentare, ma altre voci lievitano un po’ ovunque, mentre la riduzione delle entrate fiscali a causa degli interventi sulle imposte sui redditi non è affatto bilanciata dall’aumento dai dazi, cioè dal prelievo sulle merci importate. Il consigliere di Trump sul commercio, Peter Navarro, aveva annunciato 6 mila miliardi di dollari di entrate aggiuntive in dieci anni, gli stessi deputati del Grand Old Party non gli hanno creduto.

Entrate e uscite sono fuori sincrono, le tasse si ridurrebbero di 4 mila miliardi di dollari, mentre il taglio alle spese sarebbe di appena mille 600 miliardi. Il governo federale, se non cambierà strada, è destinato a indebitarsi enormemente nei prossimi nove anni (adesso il debito complessivo è di 36 mila 214 miliardi). L’ufficio parlamentare del Congresso, una istituzione indipendente, prevede che il debito rispetto al prodotto lordo salirà ancora. Oggi supera il 124 per cento del pil, poco meno del record raggiunto con la pandemia. Se è così, cade anche la tesi secondo la quale sarà la crescita a coprire il buco: “E’ diventata la bacchetta magica che i repubblicani agitano di fronte a qualsiasi problema”, ha dichiarato al Wall Street Journal Romina Boccia esperta di politica di bilancio al Cato Institute, il think tank liberista che non è esattamente un covo di Democrats. In attesa di capire che cosa succede al fantomatico piano fiscale, gli analisti e gli operatori finanziari si mettono le mani nei capelli. E vendono titoli del Tesoro federale
 

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