
stati uniti
Il deficit (gemello) del modello Trump
Gli obiettivi della Casa Bianca sono contraddittori e ogni soluzione proposta, dai dazi al taglio delle tasse, aggrava un problema che ne alimenta altri: si allarga il deficit fiscale che, a sua volta, aumenta il deficit commerciale
Il segretario al Tesoro degli Stati Uniti, Scott Bessent, quello che ha il compito di rassicurare i mercati, ha spiegato così il senso della nuova riforma fiscale dell’Amministrazione Trump: “Al Congresso mi dicevano che i dazi sono una tassa sugli americani e che sono inflazionari. Secondo quella stessa logica, tagliare le tasse dovrebbe essere deflazionario”. Ed è questo il nucleo del “Big beautiful bill”, come lo chiama Donald Trump, che taglia le tasse a imprese e famiglie in deficit per circa 4 mila miliardi di dollari.
Ma l’affermazione di Bessent, che è vera solo nella misura in cui smentisce un punto cardine della propaganda trumpiana (“i dazi li pagano le imprese straniere, non gli americani”), non è la principale contraddizione della politica economica dell’Amministrazione. Ce ne sono ben altre.
I primi cento giorni alla Casa Bianca di Donald Trump hanno avuto come tema principale i dazi, aumentati nei confronti di ogni centimetro quadrato del pianeta Terra (inclusi gli scogli abitati da pinguini). La questione principale che Trump e i suoi consiglieri – da Peter Navarro al segretario al Commercio Howard Lutnick – hanno cercato di affrontare alzando barriere tariffarie è il deficit commerciale: gli Stati Uniti importano molti più beni di quelli che esportano e, pertanto, aumentando i dazi si punta a ridurre questo squilibrio.
In aggiunta, la politica fortemente protezionista ha anche un obiettivo fiscale: usare il gettito dei dazi per ridurre altre imposte su famiglie e imprese. “Il messaggio è che i dazi sono tagli di tasse” è da mesi il mantra orwelliano di Peter Navarro, che in ogni intervista televisiva definisce un aumento di imposte (questo sono i dazi) come se fosse il suo contrario. Navarro aveva anche fatto dei conti: l’incremento delle tariffe alle importazioni avrebbe prodotto circa 600 miliardi di dollari l’anno, circa 6 mila miliardi in dieci anni. In questo modo, l’Amministrazione Trump avrebbe raggiunto anche l’altro obiettivo dichiarato che è quello di ridurre il forte deficit fiscale, che gonfia il debito pubblico, lasciato in eredità dall’Amministrazione Biden. Ecco la quadratura del cerchio: più dazi, meno deficit commerciale, più entrate, meno deficit fiscale e meno tasse.
La realtà mostra che sta accadendo l’esatto contrario. Gli obiettivi dell’Amministrazione Trump sono contraddittori e ogni soluzione proposta aggrava un problema che, a sua volta, alimenta gli altri. Partiamo dal “Big beautiful bill”, la riforma fiscale che prosegue il suo cammino alla Camera. Secondo la Tax Foundation, un think tank serio e niente affatto ostile ai Repubblicani, il pacchetto fiscale del Gop che estende i tagli fiscali in scadenza approvati durante il primo mandato di Trump e aggiunge altre misure, fa aumentare il deficit di circa 4 mila miliardi di dollari in dieci anni (2025-2034), al netto dell’aumento della spesa per interessi (il rendimento dei Treasury a lungo termine ha toccato il 5%). Il disavanzo di bilancio, che attualmente è attorno al 6% del pil, potrebbe arrivare – a seconda delle stime – all’8%.
Questo aumento del deficit non è affatto compensato dall’incremento delle entrate da dazi, che sempre secondo la Tax Foundation saranno di circa 2 mila miliardi in dieci anni (sempre che restino quelli attuali). Ciò vuol dire che l’Amministrazione Trump non ridurrà il deficit fiscale, ma lo aumenterà. E questo, a sua volta, avrà un impatto negativo anche sul deficit “gemello” commerciale, nonostante i dazi. Perché il disavanzo di bilancio è il principale motore dello squilibrio commerciale degli Stati Uniti: se il deficit fiscale aumenta il governo deve emettere più titoli del Tesoro, che vengono acquistati dagli investitori stranieri, che investono i dollari ottenuti vendendo merci agli Stati Uniti, che i cittadini americani hanno acquistato con i soldi dei tagli fiscali. Insomma, il grande taglio delle tasse senza coperture che Trump chiede al Congresso di approvare farà aumentare il deficit fiscale, che a sua volta farà aumentare il deficit commerciale e delle partite correnti.
La tesi di una parte dei Repubblicani e dell’Amministrazione Trump è che il deficit non aumenterà, perché il taglio delle tasse in una certa misura sarà coperto dalla crescita. Ci si affida, insomma, all’idea un po’ magica molto diffusa a destra secondo cui la riduzione delle tasse “si ripaga da sola” (speculare all’idea, diffusa a sinistra, che l’aumento della spesa in deficit “si ripaga da solo”). Nella realtà non accade quasi mai, ma soprattutto nel caso specifico della politica economica dell’Amministrazione Trump. Perché, anche in questo caso, le misure sono contraddittorie. Secondo le stime della Tax Foundation il taglio delle tasse del “Big beautiful bill” avrà un impatto sulla crescita di +0,6% del pil, mentre l’aumento dei dazi avrà un impatto negativo pari a -0,7%: si elidono a vicenda. Al contrario, l’effetto combinato sui deficit gemelli rischia solo di amplificarli.