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i conti al governo

Quanto rischiamo con i ritardi della grande revisione del Pnrr

Giorgio Santilli

Ferrovie, studentati, casa: l’intesa con Bruxelles sui singoli capitoli di investimento non basta. Il paracadute della settima rata

Dopo la riforma degli investimenti ferroviari con il ruolo crescente dell’Autorità dei trasporti, il piano casa con i fondi Pinqua e la società a maggioranza pubblica per l’acquisto di materiale ferroviario (di cui i lettori del Foglio sono già informati), è praticamente chiuso fra Roma e Bruxelles un quarto accordo-pilastro, sul piano studentati,  per dare vita al “dopo Pnrr dentro il Pnrr” – un mix di riforme e investimenti graditi alla Commissione Ue e proiettati quanto a esecuzione oltre il 2026. Per quanto già rivista con la revisione del Pnrr dell’8 dicembre 2023, la riforma 1.7 “Alloggi per studenti” – 1,2 miliardi per creare 60 mila alloggi – ha bisogno ora di una riprogrammazione delle risorse tempestiva ed efficace per evitare di perdere i fondi fra un anno. 

 

Lo schema che ha preso corpo fra il Mur e l’Ue riconferma la possibilità di finanziare il piano tramite forme di cofinanziamento pubblico-privato: l’interesse degli operatori privati è forte – sono già approvati agevolazioni fiscali e un contributo di 20 mila euro per ogni posto letto a fronte di un vincolo di destinazione per almeno 12 anni –  e molti progetti sono già stati presentati a seguito della prima revisione. L’accordo dovrebbe ora introdurre il principio che il raggiungimento del target non è rappresentato dal completamento dell’opera alla scadenza, ma dall’esistenza di coperture finanziarie integrali che sono vincolanti per l’esecuzione dell’opera stessa, da attuarsi nei successivi tempi tecnici necessari. 

 

E’ il modello già adottato – con la sponda della Commissione – in sede di prima revisione per la missione 7, investimento 17, del Repower Eu  (interventi di efficientamento energetico dell’edilizia sociale) il cui decreto attuativo demanda alle Esco (Energy Service Company) il compito di stipulare, entro la scadenza del Pnrr, la convenzione per il finanziamento integrale delle opere, da assicurarsi tramite una combinazione di capitali privati, finanziamenti agevolati veicolati da Cdp e contributi Pnrr erogati dal Gse.

 

La replica per gli studentati è pronta, l’intesa su questa strada c’è fra Mur e Bruxelles, come esiste un’intesa fra Mit e Commissione Ue sugli altri tre casi di investimento/riforma citati all’inizio. Tutto fatto, dunque? Manca solo l’ufficializzazione? Niente affatto. 

 

Se non arriverà in tempi brevi la proposta di revisione generale del Pnrr – che dovrà tenere dentro anche questi accordi sui singoli capitoli di mix riforma/investimento – la partita sarà persa. Inutile girarci intorno: i ritardi del governo, della premier Meloni e del ministro Foti nel predisporre la proposta di revisione del Pnrr – che poi deve essere approvata prima dalla commissione Ue e poi dal Consiglio o dall’Ecofin – rischiano di compromettere pesantemente anche questi investimenti per cui la soluzione c’è già. Tutte queste intese – che sono materia delicatissima perché di fatto stanno superando il termine del 2026 per l’esecuzione – hanno infatti bisogno di una fase preparativa molto complessa per cui i tempi a disposizione si stanno accorciando troppo. Per restare agli studentati, se non si arriverà a formalizzare le modalità operative del contributo pubblico e a firmare le convenzioni che imporranno ai soggetti privati modalità e tempi di realizzazione – se cioè a giugno 2026 il meccanismo non sarà definito puntualmente in tutte le sue parti – perderemo anche questa opportunità che Bruxelles ci sta generosamente mettendo a disposizione. 

 

Le ragioni di tanto ritardo – la revisione doveva essere presentata a febbraio, poi a marzo, ora è slittata a giugno – non sono note perché il governo ha scelto da mesi la linea del silenzio. L’ipotesi più probabile è che Foti stia aspettando di completare il quadro con le proposte dei ministeri ritardatari, penalizzando così inevitabilmente chi i propri accordi, capitolo per capitolo, li ha già messi a punto. Il rischio – ripetiamolo – è che per aspettare gli ultimi saltino i tempi anche degli investimenti per cui l’intesa esiste già.

 

C’è una soluzione? Certo non si potrà spezzare l’ultima grande revisione generale in più tranche. Né si può abbandonare a se stessi i ritardatari perché la figuraccia sul Pnrr inattuato la farebbe comunque il governo.

 

Resta allora solo il paracadute della settima rata, vale a dire la possibilità di introdurre pezzi di revisione Pnrr già fatti dentro l’assessment/revisione della settima rata. E’ già successo in altre occasioni che gli assessment della commissione per valutare se pagare le rate di finanziamento maturate abbiano accolto in corsa, al proprio interno, anche modifiche sostanziali al piano degli interventi Pnrr. A confermare che questa potrebbe essere la soluzione c’è il fatto che il governo ha già presentato a marzo una quinta revisione del Pnrr, una minirevisione tecnica – nulla a che fare con la revisione generale – proprio per aggiustare target e milestone della settima rata. Non è escluso quindi che la minirevisione si possa allargare e – insieme all’assessment – possa cominciare accogliere i primi accordi della grande revisione, anticipando quindi i tempi per dare seguito alle nuove intese su ferrovie, studentati, casa. Una forzatura che la stessa commissione Ue potrebbe accettare di buon grado per far sì che almeno i nuovi termini della scadenza 2026 siano soddisfatti.

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