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NESSUN DORMA

Al simposio Cotec, Draghi suona la sveglia all'Europa. Crescita, dazi, debito comune e cybersicurezza

Giuseppe De Filippi

Dell'analisi dell'ex premier colpiscono i passaggi in cui osserva mezzi fallimenti o palesi segni di debolezza europea. Ma la malinconia non è rassegnazione: serve una politica industriale continentale, infrastrutture energetiche nuove e meno frammentazione nell’industria della Difesa

Mario Draghi dice, riportando dati e osservazioni (e mettendo in prosa la poesia del Quirinale), che l’Europa dorme. E che se ne sta lì assopita da una ventina d’anni buoni. E non sente la sveglia. Non l’ha sentita quando è suonata per l’energia, con le forniture russe confermate e rafforzate dopo l’annessione della Crimea, né per l’economia digitale, né per i grandi campioni industriali. L’analisi di Draghi è ovviamente quella di un europeista a prova di bomba, notoriamente e anche retoricamente pronto a tutto per difendere l’Europa e farla crescere. E’ l’analisi di un europeista con l’ambizione di far stare l’Europa nella prima fila dei protagonisti mondiali. E che non si dà pace per l’abbandono della razionalità e dell’ambizione nelle grandi politiche industriali comuni, nelle scelte che dovrebbero favorire lo sviluppo e dare all’Unione un ruolo proporzionato al suo peso storico, culturale, economico.

 

              

 

Scelte europee che, a causa di un desolante intreccio di volontà e di veti, finiscono per contrastare obiettivi auspicabili, come l’indipendenza e la sovranità energetica, come il sostegno alle grandi imprese tecnologiche, come la libertà di iniziativa nei settori più innovativi, come la capacità di esercitare influenza nella politica internazionale e di basarla anche su forza e deterrenza. Molto, non tutto, è ancora recuperabile. Draghi ha affidato alle istituzioni di Bruxelles e ai governi nazionali il suo studio sui ritardi industriali e tecnologici dell’economia continentale e lo ha fatto con la ragionevole speranza di dare l’impronta a una nuova agenda politica europea.

Ma della sua analisi colpiscono, purtroppo, i passaggi in cui osserva mezzi fallimenti o palesi segni di debolezza europea. “Anche se abbiamo fornito circa la metà degli aiuti militari all’Ucraina – ha detto ieri al simposio Cotec Europa a Coimbra in Portogallo – probabilmente saremo spettatori passivi in un negoziato di pace che riguarda il nostro futuro e i nostri valori”. E’ il racconto di un’occasione persa, in terra portoghese sembra una strofa di fado applicata alla geopolitica e resa ancora più malinconica dal contrasto con il trambusto confusionario del Trump d’Arabia.

Ma la malinconia non è rassegnazione. Draghi elenca punto per punto ciò che manca e ciò che si può fare. “Dal 2020 – ha detto – abbiamo perso il nostro modello di crescita, il nostro modello energetico e il nostro modello di difesa. E i cittadini europei percepiscono con forza questo senso di crisi”. Le parole sono asciutte e nette: “In ciascuno di questi settori ci siamo trovati ostaggio del destino e delle decisioni imprevedibili altrui”. A cominciare dall’alleato atlantico: “Le recenti misure unilaterali adottate dagli Stati Uniti sono destinate ad avere un impatto sull’economia europea. E anche se le tensioni commerciali dovessero attenuarsi, l’incertezza continuerà a pesare sugli investimenti”. La lezione è chiara: “Se l’Europa vuole davvero dipendere meno dalla crescita americana, dovrà iniziare a produrla da sé”.

Serve una politica industriale continentale. Un’idea di investimento pubblico che non sia solo la somma di budget nazionali in ordine sparso. “L’emissione di debito comune per finanziare spese comuni è un tassello cruciale della strategia – ha detto Draghi – non solo per evitare che la spesa aggregata sia insufficiente, ma anche per assicurare che una quota crescente delle risorse venga spesa in Europa e serva a rafforzarne la crescita”. Il debito comune, ha detto, sarebbe il “tassello mancante” nei mercati dei capitali frammentati dell’Unione, e potrebbe diventare l’“asset sicuro” europeo di cui si parla da anni senza mai decidere davvero.

Non basta. Servono infrastrutture energetiche nuove, serve un mercato dell’energia riformato e servono scelte coraggiose contro interessi costituiti: “Dobbiamo portare avanti un grande piano d’investimento europeo per costruire reti adeguate a una produzione basata sulle rinnovabili – ha detto – e sganciare i prezzi del gas da quelli delle rinnovabili, anche avviando un’indagine indipendente sul funzionamento del mercato energetico europeo”.

Poi c’è il capitolo che riguarda l’innovazione tecnologica e l’autonomia digitale. “Rischiamo di dipendere da Stati Uniti e Cina proprio nel settore più sensibile, cioè la trasmissione sicura dei dati”. E ancora: “Serve un cloud strategico europeo, serve una capacità autonoma di cybersicurezza e servono investimenti massicci nel supercalcolo”. In caso contrario, ha detto Draghi, “non saremo più in grado di definire cosa significhi sovranità in campo tecnologico”.

Infine la Difesa e lo Spazio. “Dobbiamo ridurre la frammentazione dell’industria della Difesa – ha detto – e pianificare a livello europeo, assicurando l’interoperabilità fra terra, mare, aria e Spazio. E dobbiamo riformare drasticamente il rapporto tra agenzie europee e nazionali nel settore spaziale, coinvolgendo di più il settore privato”. Il quadro è duro, ma non è disperato. Draghi chiude con un invito all’azione: “Abbiamo l’inizio di un piano. I rapporti pubblicati negli ultimi mesi contengono una strategia chiara. Le loro raccomandazioni sono oggi più urgenti che mai. Tocca ai governi scegliere se cogliere l’occasione o continuare a dormire”. 

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