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Elkann e De Meo indicano gli “autodazi” sull'auto dell'Europa
L'attivismo di Trump ha effetti collaterali, come la discesa dei prezzi del petrolio e difficoltà per l'industria automobilistica europea, che critica le normative Ue e chiede politiche industriali più forti. I leader di Renault e Stellantis chiedono soluzioni per sostenere la competitività
Il grande, disordinato e disorientante attivismo di Donald Trump sta producendo numerosi effetti collaterali. Imprevisti e non necessariamente negativi, come la discesa dei prezzi del petrolio (da cui traggono diretto beneficio i paesi consumatori e nocumento i paesi produttori come la Russia), e correnti a svelare nudità sempre più malcelate, come la regolamentazione dell’Unione Europea sull’industria dell’automobile. Il trascorrere del 2025 sta avendo, infatti, l’effetto di un pettine a denti stretti che sta portando in evidenza sempre più nodi generati da una politica, che si riteneva tanto superiore al mercato, tanto da poterlo plasmare a tal punto da conseguire obiettivi irrealistici, in barba a preferenze e bisogni dei consumatori. Un’ulteriore autorevole riprova la si è avuta nella lunga intervista congiunta rilasciata a Le Figaro dall’amministratore delegato di Renault, Luca de Meo, e dal presidente e ad pro tempore di Stellantis, John Elkann, dal titolo piuttosto chiaro: “Quest’anno si decide il destino dell’industria automobilistica europea”.
I volumi di vendita pre pandemia non solo non sono stati mai recuperati, ma sono lontanissimi. Se si continua con questi ritmi il mercato del nuovo potrebbe essere più dimezzato nel giro di un decennio. Il primo suggerimento è di ripartire dal lato della domanda, offrendo auto a prezzi accessibili. Questione che per bocca stessa degli intervistati porta subito in evidenza lo scontro tra due visioni dell’auto europea, con una critica, abbastanza esplicita, all’industria tedesca, più o meno premium, preoccupata un po’ più di esportare, che del mercato interno. Le auto da cui ripartire per de Meo ed Elkann sono quelle piccole, segmenti B e A, di cui Francia e Italia (Renault è francese, Stellantis un poco italiana) sono storicamente grandi acquirenti (la Clio è stata l’auto più venduta in Francia nel 2024, la Panda in Italia). Nella battaglia per l’auto popolare viene inclusa anche la Spagna, quarto mercato Ue, dove la vettura più venduta la Dacia Sandero (sempre di casa Renault). Proprio queste vetture però sono quelle più penalizzate dalle numerose regole europee, che sono state perpetuate negli ultimi vent’anni portando sul mercato auto sempre più complesse, più pesanti e, inevitabilmente, più costose.
Di questo passo il prezzo di una Clio, tra il 2015 e il 2030, sarà cresciuto del 40 per cento, di cui oltre 90 per cento da attribuire alle norme. De Meo addirittura cita le norme sulla sicurezza obbligatorie e identiche per tutti, con un evidente maggiore aggravio di costi per le vetture più piccole (crediamo che non abbia dimenticato lo scontro frontale tra una Fiat 500 e Audi Q7, organizzato da una rivista tedesca nel 2008, quando era ancora in Fiat); se l’aggravio di costo è identico per una piccola auto e per una grande berlina, è chiaro che il margine eroso per la piccola sarà molto maggiore. Pur non chiedendo aiuti, anzi sfiduciando di fatto la cieca politica di incentivi alle elettriche, insieme citano lo storico esempio delle kei car, le vetturette ultra compatte giapponesi, che da oltre 70 anni beneficiano di una serie di vantaggi fiscali.
Una critica esplicita alla mancanza di neutralità tecnologica che, aggiungiamo noi, è il principale degli auto-dazi evocati da Mario Draghi. “Il mercato non compra quello che l’Europa vuole che noi vendiamo. In queste condizioni non riusciremo a sostituire la totalità dei volumi attuali con l’elettrico” e “non siamo nostalgici del XX secolo. Siamo industriali del XXI secolo, capaci di offrire al maggior numero di persone una gamma di prodotti completa, dal tutto elettrico all’ibrido e al termico di nuova generazione”, le parole pronunciate rispettivamente da de Meo ed Elkann. Mentre viene manifestamente rimproverata la poca e lenta capacità di reazione della Commissione presieduta da Ursula von der Leyen, a cui si chiedono le stesse “politiche industriali forti” messe in campo da Cina, Stati Uniti e anche dalle regioni emergenti (India e Sud America). Vengono plasticamente rappresentate la necessità e l’utilità di un mercato di volumi – un settore che genera 400 miliardi di euro l’anno di sole entrate fiscali – indispensabile per continuare a produrre in Europa, compresa l’Europa occidentale. Volumi che, ci è parso palese dalla lettura, non potranno essere mai raggiunti senza un adattamento al nuovo contesto – e al mondo reale – del mitico bando alla vendita di autovetture endotermiche nel 2035.