Scott Bessent (Ansa)

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Il segretario al Tesoro americano Bessent spiega la sottile strategia sui dazi di Trump, ma non torna nulla

Luciano Capone

Le politiche economiche dell'Amministrazione americana come un piano coerente in tre fasi. Ma le contraddizioni tra dazi, tagli fiscali e deregolamentazione la rendono poco credibile

Il segretario al Tesoro degli Stati Uniti, Scott Bessent, è considerato l’adulto nella stanza della Casa Bianca. E’ quindi comprensibile che sia stato affidato a lui, la voce più credibile, il compito di tranquillizzare i mercati. Bessent lo ha fatto attraverso un lungo editoriale sul Wall Street Journal, quotidiano di riferimento per la finanza e il mondo conservatore  finora molto critico dei dazi di Trump (il conflitto sui dazi è stato definito dal Wsj “La più stupida guerra commerciale della storia”). Bessent spiega che l’Amministrazione Trump – finora accusata di avere una politica erratica – ha una strategia coerente, che si sviluppa in tre fasi: dazi, tagli fiscali e deregolamentazione. “I critici dell’agenda economica di Trump attaccano le singole politiche isolatamente. Questa tattica ne ignora l’interconnessione”


Le tre frecce della Trumpnomics non sono, secondo Bessent, misure a sé stanti ma sono “parti interconnesse di un motore progettato per stimolare la crescita economica e la produzione manifatturiera nazionale”. Il segretario al Tesoro spiega così la strategia in tre fasi del presidente. In primo luogo, i dazi: servono a “bilanciare il commercio internazionale” perché “riducono le barriere commerciali in altri paesi”; poi producono “sicurezza nazionale” perché riportando la produzione a casa la catena di approvvigionamento meno dipendente da altri paesi (tipo la Cina); infine i dazi “possono  generare entrate sostanziali”. Seconda freccia: i tagli delle tasse, che renderanno le famiglie americane più ricche e stimoleranno gli investimenti e la crescita economica. Terzo punto, “deregolamentare l’economia”: l’eliminazione della burocrazia farà risvegliare la capacità industriale americana, aumentando occupazione e salari, soprattutto nei settori ad alta tecnologia dove si compete con la Cina (semiconduttori, energia, data center, intelligenza artificiale e altre tecnologie del futuro). “Affinché l’America possa costruire, il governo deve farsi da parte”, dice Bessent. 


Il punto, però, è che finora l’Amministrazione Trump ha fatto il contrario: i dazi sono un grande aumento delle tasse e la più grande interferenza sul sistema economico degli ultimi decenni. Per giunta, la strategia esposta da Bessent è tutt’altro che coerente: è un insieme di obiettivi contrastanti e inconciliabili. Il segretario al Tesoro dice che i dazi sono una leva negoziale per abbassare le barriere reciprocamente. Per ora sta producendo il contrario, ma se così fosse vorrebbe dire che l’obiettivo è in contrasto con l’altro obiettivo classico del protezionismo di riportare a casa la produzione per aumentare l’occupazione e la sicurezza nazionale. E quest’altro obiettivo è in contraddizione con quello di “generare entrate”: perché se hai l’obiettivo di riportare la produzione a casa e ridurre le importazioni allora vuol dire che non raccogli più tasse su quell’import attraverso i dazi. Sono le classiche “tre R” inconciliabili: ricavi (revenue), restrizioni (restriction) e reciprocità (reciprocity).
Le contraddizioni sul tema dei dazi mal si adattano anche con le altre due frecce della strategia. Se l’Amministrazione vuole confermare il  Tax Cuts and Jobs Act del 2017 e introdurre altri sgravi, questo aumenterà – o quantomeno non ridurrà – l’enorme deficit fiscale degli Stati Uniti, ora al 7 per cento, che è uno dei principali motori del deficit commerciale che Trump intende di  ridurre con i dazi, che peraltro sono un auemento di tasse e non un taglio. Sul fronte della deregulation, invece, non solo è stato fatto poco ma le tariffe sono a tutti gli effetti una nuova  pesante  regolamentazione che fa saltare modelli di business e sconvolge piani di investimento delle imprese. Il “motore per la crescita” di cui parla Bessent pare più ingrippato che interconnesso, anche perché finora funziona con un solo cilindro: i dazi.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali