
Foto ANSA
Analisi
L'Europa reggerà meglio degli Stati Uniti l'impatto dei dazi di Trump
A causa delle tensioni commerciali, S&P Global Ratings ha rivisto al ribasso le previsioni del pil per la maggior parte dei paesi, compresa l’Italia. Eppure, è l’America a uscire penalizzata dalle misure che essa stessa ha architettato
Mentre i negoziati sui dazi avviati da Cina e Stati Uniti alimentano la speranza di una de-escalation e ridanno slancio alle borse, è il momento delle previsioni sull’impatto economico delle tensioni commerciali. S&P Global Ratings ha rivisto al ribasso le previsioni del pil per la maggior parte dei paesi, compresa l’Italia che vedrà una crescita decurtata di 0,3 punti percentuali quest’anno, di 0,2 punti il prossimo e di 0,3 punti nel 2027 rispetto alle precedenti stime. A causa delle politiche di Trump, l’Italia crescerà dello 0,5 per cento nel 2025 (invece che dello 0,8 per cento), dello 0,8 nel 2026 (invece che dell’1 per cento) e dello 0,9 nel 2027 (invece che dell’1,2 per cento). Più in generale, dice S&P, i rischi per lo scenario di base “restano fortemente orientati al ribasso, data la possibilità che l’impatto dello choc tariffario sull’economia reale risulti più ampio del previsto”.
Detto questo, l’effetto delle politiche trumpiane sull’Europa è visto dagli osservatori economici meno pesante rispetto ad altre aree. Il dato di partenza è che l’Fmi ha calcolato una minor crescita del pil mondiale (causa dazi) compreso tra -0,4 per cento e -1 per cento del pil entro il 2027. Ma, come ha osservato Piero Cipollone, membro del consiglio esecutivo della Bce, nel suo speech alla conferenza organizzata dalle banche centrali il 29 aprile, mentre le proiezioni di crescita per gli Stati Uniti sono state riviste al ribasso dall’Fmi di 1,3 punti percentuali cumulati nel 2025-26, l’impatto sempre cumulato previsto sulla crescita dell’area euro è minore, attestandosi a 0,4 punti percentuali. Dunque, nel confronto con l’Europa, l’America esce penalizzata dalle misure che essa stessa ha architettato. Si vedrà, poi, che tipo di assetto prenderanno i rapporti commerciali tra le due sponde dell’Atlantico considerato che ci sono negoziati in corso la cui ultima novità, come riportato dal Financial Times, è che l’Europa sarebbe disponibile ad aumentare di 50 miliardi l’importazione di beni statunitensi per “risolvere” definitivamente il problema delle relazioni commerciali.
In attesa dell’impatto dei dazi, il paradosso è che in Europa si registra una ripresa del pil nel primo trimestre dell’anno. Secondo le stime flash di Eurostat, il pil dell’Eurozona è aumentato dello 0,4 per cento nei primi tre mesi rispetto all’ultimo trimestre 2024, leggermente più forte del previsto e probabilmente, come spiega l’economista Lorenzo Codogno nella sua ultima analisi macro, è sostenuto “da un certo anticipo delle esportazioni in vista dell’introduzione dei dazi”. In pratica, negli Stati Uniti avrebbero fatto scorta di merci europee quando a inizio anno si è capito che intenzioni aveva Trump. Codogno osserva che l’economia dell’Eurozona si stava espandendo “a un ritmo leggermente accelerato” prima delle turbolenze tariffarie, il cui reale impatto si vedrà solo a partire dal secondo semestre di quest’anno. “Ai livelli attuali – dice – i dazi ridurranno la crescita dell’Eurozona di 0,3/0,4 punti percentuali nel 2026. Tuttavia, la situazione potrebbe peggiorare significativamente a seconda della zona di atterraggio dei dazi, delle potenziali turbolenze sui mercati finanziari e dell’apprezzamento dell’euro”.
Nel complesso, pur considerando che la situazione è in piena evoluzione, il bicchiere per l’Europa sembra mezzo pieno, nel senso che un rallentamento probabilmente ci sarà ma non si prevedono catastrofi grazie anche alla leva dei tassi che la Bce è disposta ad azionare scendendo anche sotto il target del 2 per cento (la maggior parte delle stime prevede 1,5 per fine anno) pur di controbilanciare le minori esportazioni verso gli Stati Uniti. Non è un caso che la maggior preoccupazione espressa da un banchiere centrale come Cipollone non sia tanto per l’effetto recessivo dei dazi o per l’aumento dell’inflazione, ma per il rischio della “frammentazione finanziaria” come conseguenza della frammentazione del commercio globale. Vuol dire meno pagamenti tra paesi, meno prestiti bancari transfrontalieri, cioè un ritorno al passato che nessuno saprebbe come affrontare.