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Editoriali

Il ministro Giorgetti ha costretto i partiti a prendere una posizione

Redazione

Minacciare le dimissioni sul Superbonus è stato un gesto di responsabilità. Mettendo la testa sul piatto il ministro ha dichiarato di non voler essere l'uomo che certifica lo sfascio dei conti italiani

Se per l’Uomo Ragno da grandi poteri derivano grandi responsabilità, per Giancarlo Giorgetti vale l’opposto: da grandi responsabilità derivano grandi poteri. Il ministro dell’Economia ha vinto il braccio di ferro con la sua stessa maggioranza ottenendo il via libera al decreto Superbonus, che spalma su dieci anni la “bomba fiscale” dei crediti edilizi, attenuandone l’impatto sul bilancio pubblico. Sulla scrivania che fu di Quintino Sella ci sono le previsioni di primavera della Commissione europea: invece di ridursi, il debito pubblico continuerà a crescere almeno fino al 2025, passando dal 137,3 per cento del pil dell’anno scorso al 141,7 per cento (contro 138,9 per cento  del Def). L’Italia si candida così a diventare il paese più indebitato d’Europa, visto che l’attuale detentore del primato, la Grecia, ha una politica di bilancio che porterà il debito dal 161,9 per cento del pil nel 2023 al 149,3 per cento nel 2025. Sempre ieri il Mef ha annunciato l’avvio della procedura per la cessione del 2,8 per cento di Eni, dopo analoghe dismissioni di Mps e Poste, in attuazione del piano di privatizzazioni per contenere il debito pubblico. La divergenza nelle stime non riguarda la crescita, come talvolta è accaduto nel passato: la Commissione prevede lo 0,9 per cento nel 2024 e l’1,1 per nel 2025, appena 0,1 punti meno delle stime contenute nel Def.

Sul banco degli imputati c’è il Superbonus, come ha detto Giorgetti: “Le previsioni della Commissione sono in linea con le nostre. Sul debito, purtroppo, gravano per cassa negli anni prossimi gli effetti negativi del Superbonus. D’altra parte i dati europei sul rapporto debito/pil non incorporano gli effetti dei recentissimi provvedimenti che avranno effetti positivi sui conti”. E’ proprio la consapevolezza della gravità della situazione ad aver indotto un ministro solitamente taciturno a mettere la testa sul piatto: Giorgetti non vuole essere l’uomo che certifica lo sfascio dei conti italiani. Ha quindi costretto i partiti a prendere una posizione: meglio una scelta impopolare oggi che il collasso economico domani.

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