Abiti e scarti tessili nel deserto di Atacama in Cile (Foto di Lucas Aguayo Araos/Anadolu Agency via Getty Images) 

Perché l'ambizioso programma anti fast fashion del governo Macron sarà inefficace

Fabiana Giacomotti

Il ministro della transizione ecologica, Christophe Bechu, spiega che la Francia sosterrà un progetto di legge per vietare la pubblicità dei marchi del settore. Tentativo lodevole ma vano: la parte più consistente delle iniziative di comunicazione di brand come Temu e Shein non utilizza i vecchi media

"Il governo francese sosterrà il progetto di legge che punta a penalizzare la fast fashion", scrive l'agenzia di stampa Nova usando l'articolo determinativo al femminile, "e a vietare la pubblicità dei marchi del settore". Il ministro della transizione ecologica, Christophe Bechu, ne ha dato comunicazione durante un evento sulla moda sostenibile, ottenendo naturalmente il plauso di tutti i presenti. Il testo di legge è di certo ben congegnato e prevede una modulazione dell'eco-contributo versato dalla società in funzione dell'impatto ambientale prodotto per ridurre lo scarto dei prezzi fra i prodotti provenienti "dalla" fast fashion e quelli delle filiere più virtuose.

 

Vasto programma, come diceva il suo antesignano più famoso, Charles De Gaulle, visto che "la" fast fashion comunica quasi esclusivamente ormai via smartphone, e le due bete noire del sistema, le cinesi Temu e Shein che punta da anni a quotarsi a New York, atterrando sugli account dei possibili clienti con proposte e selezioni ad hoc per età, gusti personalli e stili di vita. La rete mondiale pullula di content creator, l'evoluzione para-professionale degli influencer, che mettono a confronto le sfilate dei marchi del lusso, le proposte di Zara o H&M e quelle dei due colossi dell'ultra-fast fashion, senza mai fare menzione della qualità, ovviamente, o della virtuosità delle filiere, di cui ignorano l'esistenza esattamente come quella delle fabbriche del sud est asiatico da cui escono i vestiti di Temu venduti a 3 euro.

 

La parte visibile, la superficie glamour di queste linee che, solo a fare due conti, dovrebbero spaventare per le loro implicazioni sociali e ambientali, è una campagna pubblicitaria diffusa anche in Italia, molto durante il Festival di Sanremo ("compra da miliardario" il claim furbo e crudele) e, parzialmente, sui manifesti. Ma la parte più consistente delle iniziative di comunicazione di questi brand non utilizza i vecchi media. Dunque, iniziativa lodevole, ma di impatto soprattutto politico. La grande sfida non è tassare qualche milione di euro di pubblicità palese, ma cambiare davvero l'atteggiamento di due generazioni nei confronti dello shopping senza soluzione di continuità, della soddisfazione immediata, del "prima io e dopo di me il diluvio" che perfino la Generazione Z, ufficialmente ansiosa e angosciata per il destino del pianeta, sembra dimenticare quando si tratta di comprarsi il vestito per la festa del sabato sera. Vasto programma, appunto.