Che cos'è il nuovo Superbonus per poveri

Giorgio Santilli

Nella revisione del Pnrr c’è un bonus (ridotto, probabilmente al 65-70 per cento) dedicato ai redditi più bassi e agli edifici pubblici: l'obiettivo è raggiungere i target green dell'Unione europea. In Italia intanto si litiga sulla mini-proroga

Il nuovo Pnrr Meloni-Fitto non smette di riservare sorprese, con le centinaia di spostamenti di fondi da un capitolo all’altro e con il turnover di progetti, fenomeni tenuti sottotraccia nella discussione con Bruxelles. Fra le pieghe delle 600 pagine della “decisione di esecuzione” del Consiglio Ue spunta nella nuova missione 7, quella del RePowerEu, uno stanziamento di 1.381 milioni di euro destinato a quello che, a prima vista, pare l’erede del Superbonus: probabilmente in forma ristretta (65-70 per cento), certamente limitato a edifici pubblici e abitazioni di “famiglie a basso reddito e vulnerabili”, con l’obiettivo caro a Bruxelles dell’efficientamento energetico e il format dello “strumento atto a incentivare gli investimenti privati e migliorare l’accesso ai finanziamenti”. La novità di questo Superbonus per poveri, imposto da Bruxelles per perseguire gli obiettivi green e adattato alla linea “prima le periferie” del governo Meloni, è “l’obiettivo di migliorare l’efficienza energetica di almeno il 30 per cento”.

    

Ambizione minimale che sposta tutta l’attenzione dagli interventi edilizi pesanti (i cosiddetti cappotti) a interventi più leggeri di sostituzione delle caldaie e poco altro (speriamo che non si torni agli infissi). Molto a somiglianza del vecchio Ecobonus al 65 per cento, che portava 3 mila ristrutturazioni all’anno contro i 200 mila interventi del Superbonus. Torneranno in campo le Esco, società di efficientamento energetico collegate spesso ai grandi operatori dell’energia che per un lungo periodo, prima dell’avvento del 110 per cento, hanno dominato in questo campo.

   
A Roma, intanto, si alza il livello della tensione in Parlamento e si alzano polveroni con le commissioni d’inchiesta sul Superbonus e con le notizie di un emendamento in legge di Bilancio che prevederebbe una mini-proroga di due mesi per completare gli interventi più avanzati, ma certamente insufficienti a evitare le guerre civili fra condomini e imprese che caratterizzeranno il 2024, anno dell’esplosione del contenzioso. Dietro l’emendamento fa capolino subito il filo rosso che ha caratterizzato la stagione del Superbonus in questi quattro anni: Mef contro Parlamento e, soprattutto, contro la propria maggioranza. Ai tempi dello scontro sulle villette unifamiliari (legge di Bilancio 2022) il Parlamento sconfisse per k.o. Mario Draghi e Daniele Franco, imponendo la proroga, mentre oggi Giancarlo Giorgetti abbozza subito una resistenza più tosta, con un comunicato stampa di smentita secca della notizia. Un avvertimento alle truppe del centrodestra (e soprattutto a Forza Italia). Vedremo se stavolta il Mef e la Ragioneria generale la spuntano o se l’episodio andrà ad arricchire il lavoro della commissione d’inchiesta da cui verrà fuori soprattutto che a pompare esageratamente il Superbonus è stato un metodo politico di totale assenza di confronto su dati certi in cui il governo e i ministri dell’Economia cercano di mettere argini (generalmente senza spiegare) e il Parlamento (all’unanimità) li travolge.

   
Mentre Roma fa teatro, nessuno pensa ad affrontare ancora i due veri nodi del dopo-Superbonus (oltre a quello del contenzioso imminente): il pil, che si è sgonfiato una volta frenata l’edilizia, dopo due anni di fuochi d’artificio dell’uno e dell’altra; una politica seria di efficientamento energetico del patrimonio immobiliare che sia in grado di dialogare seriamente con Bruxelles e che certo non potrà più essere il Superbonus, ma dovrebbe essere una misura stabile, chiara, efficace, possibilmente condivisa e facilmente comprensibile dai cittadini per produrre risultati accettabili e presentabili anche a Bruxelles.

 
È stato detto che il Superbonus ha consentito di ristrutturare “solo” il 5 per cento del patrimonio immobiliare a un costo unitario esagerato e in effetti gli studi dell’Enea ci confermano che il costo per kilowattora risparmiato era il doppio di quello dello stesso ecobonus 65 per cento. Ma con la gittata del nuovo strumento infilato di soppiatto nel Pnrr e senza ulteriori iniziative serie, torneremo allo 0,05 per mille del patrimonio ristrutturato per anno, e ci vorranno un paio di secoli per decarbonizzare case e uffici ai target che chiede l’Europa con la direttiva Case green. Il sollievo di inserire una normetta nel Pnrr in questo caso non accelera proprio nulla.

 
Intanto la legge di Bilancio conferma come il governo abbia smarrito la bussola sul tema chiave della crescita e del pil e stia perdendo l’occasione di usare le ceneri del Superbonus per inventare un piano di sviluppo capace di favorire progetti di riqualificazione urbana a suon di demolizione e ricostruzione (che dovrebbe piacere sia alla destra salviniana contraria a tutti i No che a quella meloniana) insieme a rigenerazione ambientale, energetica, produttiva e sociale delle nostre città. Matteo Salvini ha capito che da tutta questa confusione c’è da ricavare ben poco e cambia drasticamente scena, inventandosi un fondo per l’emergenza casa (affitti compresi) e un tavolo con le parti sociali per diffondere il nuovo verbo.