Salario minimo, l'estensione dei contratti collettivi ‘erga omnes' è illiberale
La proposta delle opposizioni rivoluziona l’intero impianto delle relazioni industriali in Italia e nasconde una minaccia alla rappresentanza
La proposta di legge delle opposizioni – al netto di Italia Viva – sul salario minimo apparentemente si limita ad affrontare il problema – vero e ineludibile – del contrasto al lavoro povero. In realtà fa ben di più e, di fatto, rivoluziona l’intero impianto delle relazioni industriali in Italia, con un approccio che limita fortemente la libertà di associazione sindacale. Il problema è che, per non indebolire la contrattazione collettiva, i proponenti hanno dovuto cimentarsi con l’annoso problema dell’estensione dei contratti collettivi ‘erga omnes’, ossia nei confronti di tutti i lavoratori e di tutte le aziende di un determinato settore; non hanno però neanche cercato di risolvere il problema che sta a monte di questo che è quello della rappresentatività, ossia di come si esprime e si misura l’unica cosa che dovrebbe contare: la volontà dei lavoratori e delle aziende. Come noto, l’art. 39 della Costituzione (che concede ai soli sindacati registrati la possibilità di far valere erga omnes i contratti) è rimasto inapplicato perché le organizzazioni sindacali e datoriali non hanno mai accettato di essere sottoposte al controllo dello stato e hanno sempre rifiutato il modello corporativo che lo ispira.
L’impostazione che è sin qui prevalsa viene rovesciata nell’art. 2 della proposta delle opposizioni, in base al quale in sostanza il contratto nazionale di settore (CCNL) stipulato da Cgil-Cisl-Uil e forse in qualche caso Ugl si applica a tutte le imprese e a tutti i lavoratori del settore. Questa norma non c’entra nulla con il salario minimo (che infatti viene citato solo in una frase successiva), ma si applica a tutti i lavoratori di tutte le categorie in quanto essa fa esplicito riferimento non al salario minimo, ma al “trattamento economico complessivo” e alla “retribuzione complessiva sufficiente e proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro prestato”, il che significa che il CCNL stabilisce la retribuzione congrua anche di un operaio qualificato o di un quadro e in linea principio persino di un dirigente.
Si può dubitare fortemente che queste norme siano compatibili con la Costituzione, ma qui ci limitiamo a esprimere forti perplessità di ordine economico. Per applicare questa legge, occorre innanzitutto che un ufficio centrale stabilisca che una data azienda appartiene a un determinato settore, perché, come detta la norma, “lì svolge effettivamente la sua attività”. Non è chiaro cosa sia un settore (i tremila settori dei codici Ateco a 6 cifre?) e soprattutto non è chiaro come si faccia stabilire il confine fra Confindustria, Confartigianato, Confcommercio, Confesercenti, Confimprese, Confapi, Cna ecc. oppure quanto sono rappresentativi sindacati come Ugl, Cisal, Cobas, Cub, Orsa ecc. Ammesso e non concesso che si trovi un modo per stabilire i confini e la rappresentatività, migliaia di imprese dovrebbero cambiare contratto, il che è evidentemente improponibile. Soprattutto, una volta che un’impresa è inquadrata, il datore di lavoro e i lavoratori non hanno altra scelta se non quella di applicare il contratto che è stato loro assegnato. E che succede se un’azienda vuole fare un altro contratto, come quello ad esempio di Stellantis? Che succede se i lavoratori di un’azienda non sono soddisfatti del contratto di categoria in cui sono inquadrati e vogliono farsi una loro associazione sindacale o un Cobas?
Si dirà che i casi di defezione da Cgil-Cisl-Uil o da Confindustria, Confcommercio, Confartigianato ecc. sono rari. Ma questo è vero solo perché oggi non esistono contratti cui si applichi l’erga omnes per decreto e dunque queste associazioni hanno il problema, anzi l’assillo quotidiano, di garantirsi il consenso dei propri iscritti; altrimenti, perdono quote associative e vengono colpite nelle loro tasche. Non sarebbe così un domani perché con l’erga omnes per decreto le grandi organizzazioni potranno dormire sonni tranquilli. Per i loro dirigenti, liberati dall’assillo del consenso, sarebbe ancora più forte di oggi la tentazione di ingraziarsi il governo di turno in vista di qualche incarico. Ne soffrirebbe la libertà di espressione in tutto il paese.
E dato che l’erga omnes si applicherebbe nella sua interezza a tutti i lavoratori del settore, quale che sia il loro inquadramento, cosa succederebbe alle organizzazioni dei quadri o a associazioni come Federmanager? E, in ogni caso, chi stabilisce chi è un quadro e chi è un dirigente? Oggi queste questioni vengono risolte attraverso il consenso delle parti interessate; una volta approvato l’erga omnes per decreto, anche per tutto questo, nonché per stabilire gli inquadramenti ai livelli più bassi, occorrerebbe un ufficio centrale. Il salario minimo non è sovietico, ma questa proposta ha un forte connotato illiberale e comunque fa ben altro – e molto di più – che stabilire un salario minimo.