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Le sbandate di Bonomi sul Mes e la Bce

Luciano Capone

Dal voto sulla ratifica del Fondo salva stati agli attacchi alla politica monetaria di Francoforte, a differenza del passato la Confindustria anziché frenare asseconda i conati antieuropeisti del governo Meloni

Il governo ha per mesi gestito la questione della ratifica del Mes in maniera dilettantesca. Giorgia Meloni ha infilato il paese in un vicolo cieco e ha continuato a percorrerlo testardamente nella convinzione che prima o poi il muro si sarebbe spostato. Non è accaduto e non accadrà. La strategia di usare il voto dell’Italia, l’unico stato su 20 membri che manca per l’entrata in vigore del nuovo trattato, come moneta di scambio su altri tavoli non ha  possibilità di riuscita. Non solo il ricatto non ha rafforzato il paese nel negoziato sul nuovo Patto di stabilità, ma rischia di indebolirlo finché il veto italiano tiene bloccata l’Eurozona su un’importante riforma che riguarda la messa in sicurezza del sistema bancario. È un danno per la credibilità del paese di cui il governo è il principale responsabile, ma non l’unico.

 

Negli ultimi mesi, e ancora nei giorni scorsi, a dare involontariamente man forte a Giorgia Meloni nella sua corsa contro il muro c’è la Confindustria. “Il Mes ha già cambiato diverse volte pelle – ha detto il presidente degli industriali Carlo Bonomi – ora dovrebbe essere concessa la possibilità di usare queste risorse anche per tipologie di intervento industriale”. Per il presidente di Confindustria “se dobbiamo fare le transizioni ambientali e digitali, se l’Ue non trova l’accordo per un fondo almeno si conceda di usare il Mes per questi interventi”. Meloni ha più volte evocato la proposta di Bonomi per uscire dall’impasse. Ma si tratta di un miraggio, di una soluzione che appare reale ma non lo è.

 

Perché per trasformare il Mes non serve un accordo in Italia con la Confindustria, ma in Lussemburgo con gli altri 19 membri dell’Eurozona. Che però sono proprio quelli già d’accordo sulla riforma bloccata dall’Italia. La proposta Meloni-Bonomi non è in discussione in Europa e mai lo sarà finché l’Italia non ratificherà la riforma su cui tutti sono già d’accordo. La mancata ratifica del Mes rappresenta la matematica certezza che il Mes non cambierà mai secondo le volontà italiane. Al di là del merito, è una strategia negoziale deleteria.

 

Per giunta, è vero che servirebbero più fondi  europei per la transizione energetica e digitale. Ma al momento un grande strumento c’è ed è il Pnrr. L’Italia è in enorme difficoltà nell’attuazione e questo rende ulteriormente poco credibile la richiesta di ulteriori fondi mentre non si è capaci di spendere quelli esistenti. La creazione di nuovi fondi comuni  per le politiche industriali passa più dal successo del Pnrr che dal veto italiano al Mes. Confindustria dovrebbe pungolare il governo su questo, piuttosto che incoraggiarlo a proseguire l’inutile braccio di ferro sul Mes.


Questo atteggiamento polemico nei confronti dell’Europa lo si è visto recentemente anche contro la politica di rialzo dei tassi della Bce. “Dobbiamo capire se la Bce è la banca centrale tedesca o la banca centrale europea”, ha detto Bonomi. Come se l’inflazione fosse una paranoia o un problema solo tedesco, quando invece l’inflazione è costantemente più alta in Italia che in Germania (8% contro 6,3%, a maggio). Come se la stretta monetaria fosse una bizzarria della Bce colonizzata dalla Bundesbank, quando la Bank of England ha appena alzato i tassi di 50 punti e il presidente della Federal Reserve Jerome Powell ha annunciato che alzerà i tassi altre due volte nel 2023.

 

La Confindustria in anni difficili ha sempre spinto i governi, soprattutto quelli più sbalestrati, alla concretezza e al dialogo costruttivo con l’Europa. Potrebbe frenare anziché assecondare le pulsioni antieuropeiste di questo governo. Non si comprende perché Bonomi, presidente pragmatico ed europeista, sposi battaglie e parole d’ordine populiste fuori tempo massimo.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali