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Nessun ricavo per lo stato dalla  rottamazione delle cartelle

Lorenzo Borga

I condoni fiscali costeranno ai contribuenti 2,1 miliardi di euro in circa un decennio. I conti della Ragioneria generale

Il governo si è superato: ha introdotto l’ennesimo condono riuscendo a non ricavarci neanche un soldo. Nelle settimane scorse tra addetti ai lavori e giornalisti ci si chiedeva quanto avrebbe potuto fruttare la nuova rottamazione delle cartelle – cioè la rateizzazione dei debiti fiscali con annesso annullamento di sanzioni e interessi – per il finanziamento della manovra di bilancio. La risposta l’ha data la Ragioneria generale dello stato nella relazione tecnica: zero. Anzi, i condoni fiscali costeranno ai contribuenti 2,1 miliardi di euro in circa un decennio, nonostante la presidente Meloni li avesse presentati in conferenza stampa come “vantaggiosi per lo stato”.

   

Dal 2016 i vari governi hanno tentato di racimolare qualche miliardo attraverso rottamazioni di cartelle. Se ne sono susseguite tre. La prima, decisa dal governo Renzi, sulla carta portava in dote 3,7 miliardi di coperture in un triennio. La seconda, che estendeva le adesioni al 2017, aveva un impatto positivo sui conti di 226 milioni in tre anni. Mentre per il terzo condono – deciso dal governo Conte 1 – non esiste purtroppo una previsione completa della Ragioneria. Peraltro questi sono numeri sulla carta, frutto di analisi ex-ante: i risultati reali delle varie rottamazioni sono stati deludenti, con incassi considerevolmente minori rispetto alle attese. Il destino dunque di una rottamazione che già in partenza è destinata a costare allo stato invece di garantire un gettito aggiuntivo appare oggi segnato.

   

Stimare il gettito di queste operazioni non è cosa semplice. Nelle relazioni tecniche i funzionari del ministero dell’Economia devono infatti prima di tutto calcolare quanto l’Agenzia delle Entrate avrebbe incassato senza la rottamazione, considerando tutte le difficoltà della riscossione. Successivamente bisogna tenere a mente i debiti che potrebbero teoricamente essere sottoposti alla rateizzazione e ipotizzare poi i tassi di adesione e di pagamento effettivo. E il fatto che i tecnici del ministero dell’Economia non abbiano inserito un gettito potenziale tra le previsioni della legge di Bilancio 2023 è una notizia.

 

Non è bastato estendere la rottamazione alle cartelle fino al 30 giugno 2022. Per la Ragioneria il condono causerà un impatto di 3,3 miliardi l’anno prossimo, 2,3 nel 2024 fino a raggiungere i complessivi 13,6 miliardi entro il 2032. Una perdita solo in parte compensata dai possibili incassi della rateizzazione, che raggiungono i 12,3 miliardi. All’appello manca dunque più di un miliardo di euro, che andrà perso.

   

Ma non è finita: il governo ha deciso anche di stralciare le cartelle inferiori ai 1.000 euro maturate tra il 2000 e il 2015. Una decisione giustificata dal viceministro all’Economia Maurizio Leo dal fatto che su questi debiti “i costi di riscossione sono più elevati rispetto a quello che si può riscuotere”, concetto poi ribadito la stessa presidente Meloni. Il fisco dunque – secondo il governo – ci rimetterebbe se rincorresse queste cartelle, anche se dovesse riuscire a riscuoterle almeno in parte. Fonti dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione avevano fatto sapere che non erano a conoscenza di stime simili, che probabilmente erano state portate avanti al ministero dell’Economia. Ora sappiamo che – al contrario – il Mef ha smentito lo stesso governo nella relazione tecnica. La cancellazione dei debiti fiscali fino a 1.000 euro costa l’anno prossimo 217,2 milioni di euro, in particolare per le mancate entrate che potevano essere realisticamente incassate. In dieci anni parliamo di un impatto sui conti pubblici di 750 milioni in totale, un numero definito peraltro una “sottostima” dalla Corte dei conti. I tecnici ci tengono a far sapere che nei calcoli “è stato anche considerato il beneficio della maggior efficacia dell’azione di riscossione coattiva in quanto l’annullamento dei carichi consentirà di concentrare le attività di recupero su crediti più recenti, sui quali l’aspettativa di riscossione risulta più alta”. Eppure non è stato sufficiente.

 

I condoni decisi dal governo Meloni non saranno vantaggiosi per lo stato, né non faranno risparmiare l’attività di riscossione. Ma continueranno a minare la fedeltà fiscale degli italiani e a scoraggiare tutti coloro che pagano senza fiatare imposte, tasse, multe, bolli e sanzioni. Tanto che il titolo del Capo III della legge di Bilancio, che contiene gli articoli in questione, suona come una beffa: “Misure di sostegno in favore del contribuente”.

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