Nel governo è partita la corsa al deficit. E la Lega propone di uscire dal Mes

Valerio Valentini

Le riunioni dei responsabili economici della destra per preparare la finanziaria mandano in allarme i funzionari di Via XX Settembre. Si ritorna al 2018? Meloni prova a frenare, ma nei partiti scatta la sfida a chi tiene più duro. Le mosse di Tremonti, gli appelli di Borghi. Le tesi di Giorgetti e Leo, che vanno a caccia di coperture fragili. Forza Italia incalza: "Scostamento"

C’è chi ci vede già i fantasmi del 2018: la gazzarra sul balcone di Palazzo Chigi, la guerra ai “pezzi di m... del Mef”, la rincorsa sguaiata a non voler cedere nulla del proprio, se prima gli altri non desistono sul loro. E sì che Giorgia Meloni lo ripete: “Stavolta è diverso. Stavolta al governo c’è una coalizione, non un ammasso di partiti ansiosi di sventolare ciascuno la propria bandierina”. E però giovedì sera, quando i primi intendimenti dei responsabili economici di Lega e FdI sono filtrati, al termine di una giornata di riunioni con Giancarlo Giorgetti e Maurizio Leo, i funzionari di Via XX Settembre hanno sgranato gli occhi. Sono solo i lavori preliminari, certo, le cifre vanno prese ancora con una certa elasticità, ma quel numero – il 4,5 per cento alla voce “deficit” per il 2023 – è un segnale d’allarme già notevole.

E non solo per ciò che quel numero rappresenta: oltre un punto di pil d’indebitamento in più rispetto al 3,4 per cento tendenziale della Nadef. Ma per la tendenza politica che quell’azzardata soluzione sottenderebbe: e cioè una competizione temeraria tra i membri della coalizione, una specie di chicken game che potrebbe portare tutto il paese sull’orlo del precipizio.

Giorgetti, neo ministro dell’Economia, condivide le raccomandazioni alla prudenza ricevute dal suo predecessore, al quale aveva non a caso chiesto un aiuto nell’accreditamento internazionale alla vigilia della sua nomina. Ma è pure convinto che, dopo la fuga in avanti della Germania coi suoi 200 miliardi, difficilmente Bruxelles potrebbe avere da ridire se l’Italia eccedesse nel deficit per fare fronte all’emergenza energetica. Tanto più, prosegue il ministro, che a rendere necessari interventi dei singoli stati  è proprio l’inconcludenza europea sul price cap. 

Leo, futuro viceministro con maxi delega alle Finanze, negli incontri tecnici di questi giorni, continua a insistere sui temi che gli erano cari già in campagna elettorale. E’ convinto, cioè, che il modo per trovare maggiori risorse ci sia: bisogna “smantellare il Rdc”, e poi tagliare senza indugi le tax expenditures (“Sono 600 misure per oltre 70 miliardi di gettito: possibile che non si riesca a ridurle?”), e infine puntare forte sulla Web tax. Tutte coperture, al dunque, assai virtuali. E anche confidare in effetti miracolosi dell’“extragettito” da inflazione, e da una ridefinizione della tassa sugli extraprofitti, rischia di essere velleitario. Ed è così che, perdendo consistenza le soluzioni per coprire le spese, il deficit lievita. “Il 4,5 resta l’ipotesi massima di una forchetta ancora  ampia”, precisano a Palazzo Chigi. Dove, tuttavia, a prendere parte ai vertici, sono i più moderati dei vari partiti. Fuori, la corsa alla spesa allegra è perfino più sguaiata. 

Matteo Salvini il puntiglio sulla necessità di uno scostamento non l’ha affatto deposto. “E anche il 4,5 per cento di deficit indicherebbe un percorso virtuoso, visto che il 2022 si chiuderà con un indebitamento del 5,1”, spiega chi consiglia il capo leghista. E tra questi c’è anche chi, come Claudio Borghi, per trovare risorse, propone questo: “Chiedere a Bruxelles di redistribuire agli stati le rispettive quote del Mes, che va smantellato”. E via. 
Quanto a FdI, per ora a restare fuori dai vertici governativi c’è quel Giulio Tremonti, prossimo presidente della commissione Bilancio della Camera, che prosegue imperterrito nelle critiche alla Bce. E poi c’è Forza Italia, che resta il convitato di pietra negli incontri a Palazzo Chigi sulla manovra. E che però non rinuncia a far pesare “al signor presidente del Consiglio” la scelta di escludere gli azzurri dai ministeri economici. “E dunque ora non vengano a prospettarci come prioritario un aumento del tetto al contante che prioritario non è”, incalza Giorgio Mulè. “Sul gas servono risposte chiare, non un bilancio ben infiocchettato”. Scostamento, dunque? “Lo chiamerei debito buono. Anzi, debito dovuto”. Che la corsa al deficit abbia inizio.

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.