L'incoerenza della Meloni sul ricorso al Fmi è ciò che eviterà il default

Luciano Capone

Quando era all'opposizione, il presidente del Consiglio invocava al posto degli strumenti europei (Mes e Next Generation Eu) l'uso dei Dsp del Fmi. Ora si è rimangiata tutto: se fosse coerente durerebbe meno di Liz Truss

Nella replica alle sue dichiarazioni programmatiche Giorgia Meloni ha respinto le accuse, mosse in alcuni interventi delle opposizioni, di aver contrastato il Recovery plan europeo. “È stato detto che quando si è dato vita al Next Genariton Eu e al Pnrr c’era chi remava contro. Non mi risulta”, ha detto il presidente del Consiglio. “Abbiamo dichiarato che sostenevamo quel meccanismo. Non abbiamo mai votato contro, ci siamo astenuti per alcune ragioni specifiche”. La versione di Meloni è molto edulcorata. Lontanissima, nei toni e nei contenuti, dalle dichiarazioni e dalle battaglie fatte dentro e fuori dalle istituzioni da Fratelli d’Italia e dalla Lega. E questo, come dice il premier, è verificabile.

 

Il suo partito, infatti, si è ripetutamente astenuto nei voti sul Next Generation Eu sia al Parlamento europeo che a quello nazionale. Il 13 febbraio 2020 non ha votato le linee guida del Pnrr in Parlamento. Il 10 febbraio 2021 FdI è stato tra i pochissimi partiti a non votare l’istituzione del fondo che finanzia il Pnrr. Il 24 marzo 2021 FdI ha fatto lo stesso sul voto delle fonti di finanziamento del fondo. Infine, il 27 aprile 2021, FdI si è astenuta anche sul testo finale del Pnrr che ora spetta a lei realizzare. E non è affatto vero, come sostiene lei, che l’astensione ha riguardato “alcune ragioni specifiche” come lo scarso tempo a disposizione per esaminare i documenti. Le critiche erano ben più radicali. Matteo Salvini, vicepremier e leader del partito che esprime il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, fu molto diretto: il Recovery è “una fregatura grossa come una casa”.  La posizione di FdI non era diversa da quella della Lega. “Le preoccupazioni che si erano create per il Mes le abbiamo ritrovate nel Next Generation Eu” diceva Carlo Fidanza, capodelegazione di FdI a Bruxelles, per motivare il mancato appoggio. Secondo il partito di Meloni quel piano avrebbe fatto “rientrare dalla finestra le regole dell’austerità” a danno delle “nazioni più indebitate come l’Italia”. Non è un caso che Fratelli d’Italia abbia accostato il Next Generation Eu al Mes, da sempre considerato un cavallo di Troia dell’Europa per minare la sovranità nazionale.

 

La linea del partito era diffidente rispetto a tutti gli strumenti europei, esistenti o in corso di approvazione, a cui venivano preferite altre soluzioni, come il ricorso al Fondo monetario internazionale. Fu proprio Giorgia Meloni, nel maggio 2020, a proporre sul Corriere della sera, in alternativa al nascente Recovery fund e alle linee di credito del Mes, l’utilizzo dei Diritti speciali di prelievo (Dsp) del Fmi per non essere “alla mercé dell’asse franco-tedesco”. L’idea era quella di far emettere al Fmi nuovi Dsp per circa 1.250 miliardi di dollari, da distribuire ai paesi membri secondo le quote di partecipazione al Fondo: “L’Italia ne beneficerebbe per circa 40 miliardi, in virtù del suo 3 per cento”. Si trattava di una specie di uovo di Colombo: “Non sono un prestito del Fmi, di quelli che attiva la Troika. L’emissione di Dsp non costa nulla e non è soggetta ad alcuna condizionalità”. Una soluzione ben più conveniente sia del Mes sia del Recovery plan, che o sono prestiti da restituire (seppure a tassi di vantaggio) oppure sono fondi condizionati a obiettivi e riforme. Con i Dsp invece, nessuna condizione e zero costi: tutto gratuitamente, come direbbe un suo predecessore. Ma le cose erano affatto così.

 

I Dsp sono un asset di riserva, e anche una specie di unità di conto del Fmi, il cui valore è determinato da un paniere di valute di riserva (dollaro, euro, yuan, yen e sterlina). In pratica, come già accaduto nel 2009 quando dopo la crisi finanziaria il Fmi emise 182 miliardi di Dsp, Meloni chiedeva di fare 10 volte tanto per fronteggiare il Covid. Il problema è che, generalmente, gli economisti che hanno proposto questa soluzione hanno sempre avuto in mente un aiuto per i paesi in via di sviluppo, che hanno banche centrali poco credibili, storie di instabilità finanziaria, difficoltà a onorare i debiti in valuta estera e a rifinanziare il proprio debito. Pertanto, per un paese come l’Italia usare uno strumento del genere sarebbe un suicidio: darebbe ai mercati un segnale terribile, quello di un paese in default. Produrrebbe, insomma, un “effetto stigma”. Queste furono le critiche che muovemmo alla allora leader dell’opposizione, che ci rispose dicendo che in passato ci sono state molte emissioni, “l’ultima nel 2009 per un importo di 200 miliardi di euro circa, su impulso dell’allora presidente americano Barack Obama. Sei miliardi andarono felicemente all’Italia, altro che ‘effetto stigma’”.

 

Il punto è proprio che anche quando nel 2009, in piena crisi, all’Italia toccarono 6 miliardi di Dsp il governo di allora (di cui Meloni faceva parte) non si sognò di “attivarli”. E non lo fece neppure un paio di anni dopo, nel 2011, quando davvero il paese era sull’orlo del default, proprio perché farlo avrebbe spinto ulteriormente l’Italia verso la bancarotta (il premier può chiedere al compagno di partito, on. Giulio Tremonti, allora ministro dell’Economia, perché non usò i Dsp). Un anno dopo, quando ad agosto 2021 il Fmi autorizzò una nuova emissione di Dsp da 650 miliardi di dollari, Meloni scrisse di nuovo al Corriere per rilanciare la sua idea: “All’Italia arriveranno 20 miliardi. Una boccata di ossigeno per molti stati come l’Italia”, che avrebbe potuto mettere a leva i Dsp per mobilitare 100 miliardi. E concluse: “Mi auguro che questa volta governo e presunti esperti mettano da parte la loro immotivata spocchia e prendano seriamente in considerazione la proposta”.

 

Si trattava ovviamente di una sciocchezza, che infatti è sparita nei discorsi da premier. Adesso preferisce parlare di Europa, buoni rapporti con Francia e Germania e Pnrr. A differenza di ciò che dice di se stessa, la coerenza non è la sua qualità principale. Meloni ha l’intelligenza di capire che se fosse coerente, e proponesse ora il ricorso ai Dsp del Fmi, al governo durerebbe meno di Liz Truss.

 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali