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Editoriali

Reshoring? Veni, vidi, bici. Uno studio

Redazione

Come sfruttare le catene della produzione che si accorciano? Imparando a pedalare

Vuoi la bicicletta? E allora producila. La globalizzazione è in una fase di surplace, si tiene faticosamente in equilibrio ma non avanza, e allora per le aziende specializzate in bici è bene darsi da fare per organizzare la produzione tra fornitori nazionali (o molto vicini) senza fare conto sui grandi esportatori di manifattura e di prodotti intermedi a buon mercato.

 

Per il settore delle biciclette la scelta del reshoring, del ritorno a filiere produttive tutte nazionali, ha una sua logica e, grazie a tecnologie evolute ma abbordabili in termini di investimenti, è anche ben realizzabile. In più il prodotto finale consente buoni margini e ci sono componenti di stile e soluzioni qualitative per le quali l’industria italiana parte con credibilità e apprezzamento da parte dei clienti. Il settore vede varie ragioni per il ritorno a filiere interamente europee (secondo un rapporto di Banca Ifis, presentato ieri, la produzione di 2,8 milioni di bici, pari al 18 per cento dell’attuale produzione europea, rientrerà in Europa nel 2023: l’Italia, con 3,2 milioni di pezzi fabbricati nel 2021, è già il primo produttore europeo di biciclette). La prima è che con l’inceppamento della catena distributiva mondiale si è arrivati anche a sei mesi di attesa per la componentistica importata e questo succede mentre la domanda è in crescita. Nel frattempo, sono arrivati dazi antidumping contro alcune produzioni asiatiche, mentre in Asia, per conto loro, i costi di produzione salivano drammaticamente, come saliva il costo dei noli navali per trasportare merci da un continente all’altro. In Europa, poi, nel settore si investe in tecnologia e il tasso di crescita degli investimenti è tale da far prevedere progressi e innovazioni di processo e di prodotto già a breve. E’ uno dei vari casi che mostrano come la globalizzazione si stia ridisegnando, con la pandemia che ha avuto l’effetto di mostrare  eccessi nell’affidamento che si è fatto su filiere produttive diffuse su distanze geografiche (e anche normative e organizzative) enormi. E’ il mercato che comanda, questa è la lezione. E il mercato conta  più della globalizzazione.

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