Thomas Lohnes / Foto tramite LaPresse  

Un'altra Bce? A cosa può portare una Lagarde accerchiata

Stefano Cingolani

C'è chi pensa che la presidente sia poco politica e chi il contrario. Ma le giuste critiche che le sono mosse pongono domande complicate sul futuro futuro dell’istituzione finanziaria . Scenari e problemi 

Il 3 febbraio Christine Lagarde presidente della Banca centrale europea non esclude un aumento dei tassi d’interesse in tempi brevi. I mercati si agitano, lo spread tra titoli italiani e tedeschi vola oltre quota 150. Tre giorni dopo Klaas Knot governatore della banca centrale tedesca e membro del consiglio della Bce annuncia che il rialzo degli interessi avverrà entro l’anno, intanto l’acquisto di titoli di stato finirà al più presto. L’8 febbraio Christine Lagarde ammette che l’inflazione turba i suoi sonni e i bond europei fibrillano. L’11 febbraio spiega che rialzare il costo del denaro non servirà a fermare i prezzi. Il 15 febbraio precisa che la Bce prenderà “la decisione giusta al momento giusto” e tutti incrociano le dita. Ma che cosa succede alla signora dell’euro? Mentre a Francoforte e nelle borse europee si cerca di interpretare i vaticini, da Parigi arriva l’indiscrezione, raccolta dal Foglio, che Emmanuel Macron vorrebbe nominare Christine Lagarde primo ministro in caso di vittoria alle presidenziali. E comincia già il totonomine. Se lei se ne va, chi resta alla Bce? La Francia passerà il testimone alla Germania? E a chi? Né la rappresentante tedesca in consiglio, Isabel Schnabel, né il presidente della Bundesbank Joachim Nagel, sono personalità carismatiche e di primo piano come Jens Weidmann, il consigliere di Angela Merkel diventato grande avversario di Mario Draghi. Inoltre nella haute finance parigina nessuno è disposto ad affidare il governo dell’euro a un falco germanico né a uno dei suoi fidi olandesi e finnici. Non solo. Il circo politico-finanziario è convinto che Macron vincerà di misura e sarà costretto a formare una coalizione o meglio una vera cohabitation affidando il governo a gollisti duri e puri, forse non a Valérie Pécresse che ha già perso la spinta propulsiva. Christine Lagarde è stata ministro delle finanze con Nicolas Sarkozy al quale una volta scrisse “usami per il tempo che serve a te, alla tua azione e al tuo casting“ (honi soit qui mal y pense) e questo divide la destra repubblicana. 

 

E’ presto per capire cosa farà la Bce e cosa farà la sua guida, intanto ci s’interroga con sempre maggior apprensione non solo sul futuro, ma sulla figura, le capacità, il carattere di Madame la Présidente. Gli interlocutori che abbiamo sentito – chi on chi off the record – si dividono in due squadre: quella di chi dice che Lagarde è poco politica e quella di chi pensa esattamente il contrario. Tutti l’attendono al varco tra marzo e aprile, quando sarà più chiaro come va l’inflazione. Finora la presidente ha mantenuto il pilota automatico innescato da Draghi, ora dovrà gestire la inevitabile svolta monetaria in modo da non scassare Italia e Grecia, dando l’impressione di non mettere l’Italia e la Grecia in cima ai suoi pensieri – secondo l’opinione di un banchiere europeo che ritiene inopportuno dire il suo nome vista la delicatezza della questione. Moneta e politica, dunque, vanno a braccetto.

 

L’accusa di prestare troppo ascolto alle sirene del potere è piovuta addosso a Christine Lagarde negli anni in cui ha gestito il Fondo monetario internazionale: secondo i suoi critici ha concesso troppo a Buenos Aires per favorire la presidenza di Mauricio Macri contro i peronisti, su pressione degli Stati Uniti. Fatto sta che l’Argentina è discesa nel suo tradizionale gorgo finanziario. Chi la ritiene maldestra nel lanciare i messaggi, cita non solo la tronfia intervista a “Elle” nella quale raccontava la sua intensa vita erotica, ma soprattutto le gaffe che hanno riacceso lo spread in Italia e in Grecia. La prima, la peggiore, due anni fa nel marzo 2020 e l’altra dopo l’ultima riunione del consiglio Bce. Ogni volta è costretta a innestare la retromarcia. Ignazio Visco venerdì scorso, all’annuale riunione del Forex, ha lanciato un avvertimento molto chiaro: fin da dicembre il consiglio della Bce ha deciso di “garantire una riduzione ordinata e controllata dello stimolo monetario – ha detto il governatore della Banca d’Italia – Non ritengo al momento che il quadro complessivo alla base di questo orientamento sia particolarmente cambiato”. Dunque, gradualità, flessibilità e non solo: la lotta all’inflazione non si fa con la politica monetaria, ma con la politica fiscale. Ancor più di fronte a questo tipo d’inflazione. “E’ uno choc simile a quello petrolifero degli anni ’70”, spiega Giampaolo Galli. Non ha innescato una rincorsa salariale, ma è solo questione di tempo; quindi, più che la stretta monetaria, ci vuole una politica dei redditi. Il rischio di non far nulla è grande, ancor peggiore quello di far troppo. 

 

Finora Christine Lagarde ha surfato tra la posizione dei paesi nordici e quella degli altri con i francesi in mezzo a far da ago della bilancia. Si potrebbe dire che è “volatile come il mercato” secondo Lorenzo Bini Smaghi, già membro del board esecutivo della Bce, il quale nell’insieme dà un giudizio positivo sull’attuale gestione della Banca centrale europea. E’ vero, però, che il bello (o meglio il brutto) deve ancora arrivare. Anche Bini Smaghi invita alla prudenza e alla elasticità di manovra, sapendo che l’epoca dei tassi negativi è finita: ha favorito la ripresa, ma ha creato serie contraddizioni, scaricando spesso gli oneri bancari sui clienti. L’ex governatore della Banca d’Inghilterra Mervyn King è convinto che, poiché gli interessi sono rimasti così bassi tanto a lungo, sarà inevitabile un loro aumento rapido provocando fallimenti a catena, di imprese, famiglie, stati. Lo dimostra anche la Federal Reserve. Il suo presidente Jay Powell è stato un maestro di prudenza: ha annunciato la stretta molto in anticipo, l’ha centellinata, ha evitato qualsiasi balzo improvviso; eppure i paesi in via di sviluppo dipendenti dal dollaro sono precipitati in seri guai con un biglietto verde più caro e raro. Qualcosa del genere potrebbe accadere nella zona euro, in tal caso a soffrire sarebbero Italia e Grecia, di nuovo come nel 2011. “A un tempo barometro di movimenti profondi e cause di non meno formidabili conversioni delle masse”, ha scritto lo storico francese Marc Bloch, la moneta va maneggiata con cura.