Camera dei Deputati, voto finale su legge di Bilancio (LaPresse) 

Sulla legge di Bilancio si poteva essere ben più coraggiosi

Giacinto della Cananea

Il giudizio complessivo sulla nuova manovra è solo in parte positivo, sul piano del metodo e su quello del merito

Diversamente dalle leggi di Bilancio approvate dal Parlamento negli anni precedenti, quella appena votata ha beneficiato d’una situazione generale favorevole. Le regole restrittive sul bilancio e sulla spesa adottate dall’Ue, dal Patto di stabilità al Fiscal compact, sono state sospese. La crescita economica, superiore alle previsioni iniziali, torna utile anche per l’equilibrio durevole dei conti pubblici. L’Ue ha espresso un giudizio positivo sul bilancio, diversamente da quanto aveva fatto due anni fa, quando sprecammo parecchio tempo prima di tornare alla ragionevole impostazione proposta dal ministro Tria.

  
Eppure, il giudizio complessivo sulla nuova legge di Bilancio è solo in parte positivo. Sul piano del metodo, da più parti è stata espressa insoddisfazione per il ritardo con cui il disegno di legge è stato presentato al Parlamento e ancor di più per il ritardo con cui il governo ha trasmesso il maxiemendamento sul quale ha chiesto la fiducia, già confermata dal Senato. I tempi disponibili per l’altra Camera sono stati così esigui che la commissione Finanze ha rinunciato a esprimere il proprio parere. Dunque, non solo la manovra di bilancio non è immune dai difetti emersi negli anni scorsi, ma si è fatto un ulteriore passo nella direzione sbagliata. Per di più, ci si è avvicinati al termine indifferibile del 31 dicembre, oltre il quale il Parlamento deve deliberare il ricorso all’esercizio provvisorio del bilancio. Ciò sarebbe molto grave. Riaccenderebbe i timori dei mercati sulla stabilità dei conti pubblici italiani.

    
Sul piano del merito, va dato atto al governo e al Parlamento di aver agito sulla composizione del bilancio pubblico, confermando e rafforzando la tendenza ad accrescere gli investimenti pubblici più utili ai cittadini e più adatti a rilanciare l’economia. Inoltre, nel delicatissimo versante della sanità, si sono destinate consistenti risorse alla costituzione di una scorta nazionale di dispositivi di protezione individuale (860 milioni) e alla riduzione delle liste di attesa per le prestazioni di screening e di ricovero ospedaliero (500 milioni).

 

Ma vi è l’altro lato della medaglia. Lo ha segnalato pochi giorni fa il presidente del Consiglio, evidenziando le criticità riguardanti il cosiddetto superbonus edilizio sotto il profilo dell’incremento dei prezzi e, si potrebbe aggiungere, sotto il profilo dell’equità.

 

Un’altra vicenda emblematica riguarda il servizio scolastico. Nel testo iniziale della legge di bilancio, il governo aveva previsto di rafforzare il fondo per gli insegnanti, allo scopo di premiare “in modo particolare la dedizione nell’insegnamento, l’impegno nella promozione della comunità scolastica e la cura nell’aggiornamento professionale continuo”. Era un’ottima iniziativa, sia per gli obiettivi, perché vi è certamente bisogno di migliorare la didattica e di rafforzare il senso di appartenenza a una comunità importante per l’intera società, sia per la natura selettiva. Ma proprio ciò aveva reso la misura indigesta ad alcune frange sindacali, avverse a qualsiasi forma di selettività. Questa posizione è insostenibile: perché la dedizione nell’insegnamento merita considerazione e rispetto; perché altrettanto vale per la cura nell’aggiornamento professionale; perché non vi è alcuna valida ragione – né, meno che mai, un fondamento costituzionale – per erogare risorse “a pioggia”.  Alla fine, in sede parlamentare, si è addivenuti a una mediazione: il fondo è rimasto, anzi la dotazione è stata incrementata, ma sono stati espunti i criteri che tanto avevano indispettito gli irriducibili sostenitori dell’erogazione indiscriminata del pubblico denaro. Ma è rimasto anche (quandoque bonus dormitat Homerus) il riferimento al fondo istituito nel 2017 per “valorizzare la professionalità dei docenti”.

 

È auspicabile che il governo non permetta che la misura sia annacquata nella fase della gestione. Sarebbe un serio segnale di una rinnovata attenzione per l’impegno nelle istituzioni scolastiche e per la buona gestione del pubblico denaro, oltre che della saldezza dell’indirizzo governativo, un bene che non possiamo permetterci di esporre a rischi.
 

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