La freddezza dei grossi ipermercati che i consumatori (forse) non vogliono più

Alberto Chiumento

È in corso un ritorno verso i negozi di prossimità. Un trend già presente prima della pandemia, ma che dovrà convivere con le sfide del commercio online: nel 2021 l’e-commerce alimentare ha triplicato il suo valore rispetto al 2019 (ma ancora è una nicchia)

Alcune parole italiane durante la pandemia sono tornate di uso comune, dopo periodi di scarso utilizzo. Senza ricorrere a congiunti – grande trovata di Giuseppe Conte per aumentare le difficoltà in un momento già molto complesso – l’esempio principale è sicuramente prossimità. Prima è tornato con riferimento medico, indicando la rete di medici diffusa sul territorio, che si è rivelata estremamente vulnerabile nei primi mesi di diffusione del Covid-19, nonostante il grande sforzo dei medici di base.

   

Poi è passata all’ambito commerciale. Appena il tempo di abituarsi alla convivenza con i grandi centri commerciali e con i supermercati dalle mille corsie, che la pandemia è intervenuta spingendo molti consumatori verso negozi più piccoli e vicini a casa. Anche la notizia che la catena di supermercati Carrefour stia chiudendo 106 punti vendita, con esuberi di quasi 800 persone, sembra confermare questo trend. Come analizzare quindi i cambiamenti della grande distribuzione alimentare, dopo i mesi intensi - e le lunghe code - del periodo pandemico?

    

La crisi non riguarda la grande distribuzione nel suo complesso, ma soltanto i canali di vendita che sfruttano le ampie superfici. Gli ipermercati (i negozi più ampi della categoria, con superfici superiori ai 4.500 metri quadrati) sono quelli più colpiti. Tra il 2020 e il 2019, ad esempio, gli ipermercati sono stati l’unico canale distributivo con una riduzione di fatturato: -10,1 per cento, secondo i dati Pwc. I superstore, subito sotto per estensione (ampiezza 2.500 - 4.500 metri quadrati) ne hanno risentito meno, ma hanno registrato comunque la crescita di fatturato più ridotta tra le restanti tipologie di negozi, poco sopra il 2 per cento.

  

Dai punti vendita di ampia superficie – oltre i 2.500 metri quadrati come ipermercati e superstore – il consumatore medio si sta spostando sempre più verso i negozi di prossimità, alla ricerca di una maggiore personalizzazione. Nei grossi negozi il principale problema è la freddezza delle relazioni e delle esperienze di acquisto, cui va sommata la confusione che si crea in luoghi così ampi e dispersivi. La pandemia non è però la causa. Il trend è in corso da alcuni anni.

   

Nei supermarket (400 – 2.500 metri quadrati di superficie) e nei negozi di prossimità è più facile creare un rapporto di fiducia con i venditori. Sono luoghi accoglienti perché semplici. “Andare in un ipermercato dove l’assortimento presenta in media 15-20 mila prodotti diversi è un fatica anche intellettuale. Per molti clienti, paradossalmente, l’ampia scelta crea stress e disagio. Ora, si preferiscono negozietti in cui c’è una chiara linearità del percorso d’acquisto” dice Albino Russo, direttore generale di Ancc-Coop. Ci tiene però a precisare “che i piccoli negozi nel 2021 stanno a loro volta vivendo una diminuzione delle vendite dopo i grossi risultati del 2020.”

  

La richiesta di prossimità è un trend a livello nazionale, pur con qualche differenza di partenza. “Nel nord-ovest italiano le grandi superficie sono sempre andate molto bene. Spesso sono anche ben integrate nel contesto urbano, camuffando così la loro ampia estensione. Invece, al sud gli ipermercati hanno avuto tradizionalmente meno diffusione. Tuttavia, è innegabile che la pandemia abbia accorciato il raggio della mobilità quotidiana” conclude Russo.

   

La crescita della concorrenza ha messo in luce l’incapacità degli ipermercati nel creare un un’esperienza coinvolgente per il consumatore. “Se dai grossi negozi i clienti non ricevono qualcosa in più preferiscono altri canali: i discount hanno prezzi migliori, mentre l’online offre maggiore comodità” racconta Stefania Borghini, professoressa di marketing alla Bocconi di Milano. “Per migliorare l’offerta, le grandi catene dovrebbero sfruttare la tecnologia, ampliando gli strumenti di pagamento e riducendo i tempi di attesa alle casse, ad esempio”. La concorrenza dei discount, la cui ridotta estensione non supera i 1.200 metri quadri, è forte: per l’Ufficio studi Coop i discount coprono il 20 per cento delle vendite totali della grande distribuzione e sono particolarmente radicati nel sud Italia.

   

Per avvicinarsi ai clienti, alcune grandi catene hanno aperto negozi in zone centrali, come fatto da Esselunga con il marchio La Esse. L’offerta è stata adattata alle nuove necessità: strutture più piccole e accoglienti offrono anche un servizio aggiuntivo come quello degli Amazon locker, che sfruttando le spese online dei consumatori, li attira e li fidelizza con il luogo.

  

Il ricorso a negozi di prossimità però per Esselunga è un po’ un controsenso. Essendo la creatrice dei superstore, un formato che può già essere di prossimità se trova la giusta ubicazione, l’avvio di questa nuova strategia, per quanto limitata ad alcuni negozi, rappresenta la difficoltà nel resistere nel settore della grande distribuzione.

    

Con l’ampliamento dei vettori di spesa, tra cui l’online, la funzione di attrazione degli ipermercati è andata scemando. Una possibilità di riconversione passa per il settore dei freschi, che da sempre è l’aspetto che fidelizza maggiormente il cliente. Allo stesso tempo però l’online non può essere tralasciato. Nel 2021 l’e-commerce alimentare ha triplicato il suo valore rispetto al 2019. E le potenzialità di crescita sono ancora enormi. L’e-commerce è ancora una piccola nicchia: vale solo circa il 2 per cento delle vendita della grossa distribuzione.

  

“Tra i cambiamenti che la pandemia ha imposto ai consumatori l’e-commerce è il principale” continua la professoressa Borghini. “Negli ultimi mesi la situazione pandemica è stata tranquilla, tuttavia l’e-commerce è andato ancora bene sia perché utilizza campagne di marketing estremamente precise, sia perché molti consumatori si sono abituati alla sua comodità ed efficienza. Sono cadute alcune barriere di comportamento dei consumatori.”

  

La pandemia ha reso la sostenibilità un fattore ancora più centrale per la grande distribuzione. Secondo l’Ufficio studi Coop il valore del carrello green è aumentato dell’8 per cento nei primi sei mesi del 2020 rispetto al 2019. “Il Covid-19 ha fatto uscire dalla nicchia il tema della sostenibilità, rendendolo una richiesta diffusa per molti consumatori” spiega Borghini. Alcune aziende, come Cortilia o Bioexpress, unendo una filiera corta e curata sono capaci di comunicare prossimità al cliente pur entrando in contatto con lui tramite app. Un indicazione che la richiesta di prossimità fatta dai consumatori può convivere con l’uso del digitale.