Presidio dei lavoratori del trasporto aereo nel corso dell'incontro tra la dirigenza della nuova compagnia e i sindacati. Foto Ansa

Ormai Alitalia è Ita, eppure c'è già il primo sciopero

Andrea Giuricin

I sindacati sanno bene che per la nuova azienda sarà davvero complesso rimanere in piedi da sola, ma non sembrano rendersi conto che non è più possibile continuare a dare soldi pubblici a una compagnia aerea

Ita, la nuova Alitalia, sta per tornare a volare e all’orizzonte è già pronto il primo sciopero indetto dai sindacati. Il 15 ottobre è la data della ripartenza della nuova compagnia a capitale 100 per cento pubblico, ma la soluzione individuata non sembra andare bene ai sindacati. D’altronde la compagnia parte ridimensionata, con 52 velivoli, in un ambiente competitivo, quello del trasporto aereo, sempre più complesso.


La crisi Covid-19 sta colpendo duro tutti gli operatori del settore, dagli aeroporti, fino alle compagnie aeree, ma l’attenzione in Italia è sempre stata incentrata sul trovare una soluzione politica per Alitalia. La nuova società, che avrà inizialmente 2.800 dipendenti, dovrà confrontarsi con le più grandi compagnie aeree, ancora tutte in piedi, nonostante la crisi pandemica. Le compagnie low cost sono sempre più aggressive sul mercato italiano, mentre i vettori tradizionali, appena il mercato intercontinentale ripartirà, sono già pronti a far volare i loro aerei per riconquistare le quote di mercato. 


Quale spazio può mai avere un piccolo vettore regionale come Ita? Il margine di manovra era davvero esiguo per il governo Draghi, che si è trovato con la soluzione della compagnia pubblica preparata nel maggio del 2020, con uno stanziamento di 3 miliardi di euro predisposto del governo Conte. Al contempo le condizioni espresse dalla Commissione europea prima ancora che arrivasse il governo Draghi, erano molto chiare: l’investimento doveva essere fatto in discontinuità tra Ita e Alitalia e solo pochi asset potevano essere venduti, tramite procedura di gara, al nuovo vettore aereo. La discontinuità doveva essere reale, anche tenuto conto che il contribuente italiano aspetta ancora di rivedere gli 1,3 miliardi di euro di prestito ponte più gli interessi (ormai quasi 1,7 miliardi di euro).


Il problema reale sarà che Ita decollerà a metà ottobre, nel mezzo della più grave crisi del settore aereo, che vede ancora cifre di traffico dimezzate rispetto al 2019, nel periodo autunnale e invernale che storicamente è il più difficile per il trasporto aereo. Partirà grazie a gli ennesimi soldi pubblici e l’unica speranza è quella che il vettore possa finire presto a far parte di qualche grande gruppo europeo, in modo che non sia più gestito direttamente o indirettamente dalla politica.


I sindacati sanno bene che per la compagnia sarà davvero complesso rimanere in piedi da sola, ma al tempo stesso non sembrano purtroppo rendersi conto che non è più possibile pensare di continuare a mettere soldi pubblici per una compagnia aerea, che già prima della crisi Covid-19 perdeva 600 milioni di euro l’anno. Dal 2000 a oggi, Alitalia non ha mai chiuso un conto economico in positivo, se non nel 2002 quando Klm pagò una penale pur di non procedere con una fusione con il vettore italiano. Di fatto, Alitalia non è mai riuscita a stare sul mercato da quando questo è stato liberalizzato. A questo punto ci sarebbe da prendere atto che utilizzare altri soldi del contribuente è infruttuoso, anche perché il mito della strategicità della compagnia non esiste più da tempo: anche nel 2020, il numero di passeggeri da e per l’Italia trasportati da Alitalia è stato il 7,7 per cento, addirittura inferiore  al dato del 2019.


La strategia del governo passa dunque tramite la minimizzazione delle perdite, ma il rischio che la nuova società pubblica si ritrovi a perdere soldi, visto anche l’ambiente competitivo estremamente complesso è molto elevato. Non ha alcun senso pensare di riprendere in mano l’idea di unire le Ferrovie dello Stato con “Alitalia- Ita”, una strategia  che avrebbe come unico risultato quello di affossare anche il gruppo ferroviario, che al contrario  avrebbe bisogno di una privatizzazione di alcuni dei suoi asset più attrattivi.


Alitalia è un simbolo di come la politica non riesce a staccarsi dal ruolo di “stato imprenditore”, invece di riprendere a svolgere bene il ruolo di “stato regolatore”. L’Italia ha bisogno di una buona connettività verso l’estero, soprattutto adesso che l’economia sta rimbalzando dalla crisi Covid-19, e questo può essere fatto sostenendo  il settore aereo nel suo complesso.


La crescita del paese passa tramite la comprensione da parte dell’arco parlamentare e da parte del sindacato che “Alitalia è Ita” e che il settore aereo tutto ha bisogno di ripartire. Le logiche nazionalistiche servono poco a un paese orientato all’export come l’Italia e questo vale anche e soprattutto nel trasporto aereo.
 

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