Alto, elegante, dall’aria aristocratica, amante del golf, degli yacht e delle donne: Axel Springer in una foto del 1966 (dal sito axelspringer.com)

il foglio del weekend

L'altro Murdoch

Stefano Cingolani

Axel Springer, l’editore che  rese la Bild Zeitung il tabloid più venduto in Germania. E dopo la rivoluzione nella carta, ora la sfida digitale

Lo hanno chiamato “il Murdoch buono” (copyright James Kirchik, giornalista e neocon) ma Axel Springer era tutt’altro che buono per la sinistra tedesca: avversario aperto dei socialdemocratici (si oppose a Willy Brandt e alla Ostpolitik con tutta la sua forza di persuasione esplicita più che occulta), male assoluto per i gruppi gauchiste, feticcio dello stato imperialista delle multinazionali per la Raf, la Rote Armee Fraktion (o banda Baader-Meinhof secondo i giornali di Springer) che nel 1972 lanciò una bomba contro la sede amburghese della casa editrice. Emblema del Quarto potere e volto oscuro della nuova Germania, così lo vedeva il premio Nobel Heinrich Böll, lo scrittore cattolico, pacifista e progressista che nel suo romanzo più significativo, “L’onore perduto di Katharina Blum”, denunciò la diffamazione degli avversari, la mancanza di obiettività, l’esagerazione che esaspera la dialettica politica in una continua crociata; insomma quel “metodo Springer” che ha reso la Bild Zeitung il più venduto tabloid nell’Europa continentale (cinque milioni e passa di copie giornaliere). 

Con Murdoch l’editore tedesco condivideva il piglio e la passione politica anche se a differenza dal magnate australiano non aveva mai avuto la minima sbandata marxista, semmai tutto il contrario. Fin dall’inizio aveva ispirato se stesso e i suoi giornali a quattro ismi: capitalismo, anti-comunismo, tradizionalismo, americanismo; e li proclamava a gran voce. Senza alcun dubbio è stato una colonna portante della Repubblica federale, della Guerra fredda (un vero cold warrior secondo gli americani), della Cdu, la Unione cristiano-democratica di Konrad Adenauer. E’ stato anche un grande amico di Israele e fautore della riconciliazione. Ma non ha potuto assistere al successo della propria battaglia per una Germania unita sotto la bandiera dell’occidente. Si è spento nel 1985 quattro anni prima che crollasse il muro di Berlino, lasciando la casa editrice e i suoi due gioielli, la Bild e il più compassato Die Welt, alla quinta e ultima delle mogli, Friede di trent’anni più giovane, ex bambinaia di uno dei suoi figli. Da allora molte cose sono cambiate, a cominciare proprio dal giudizio su Axel Springer. L’ex sindaco di Berlino Klaus Wowereit, socialdemocratico di sinistra, gay dichiarato, nel ricordare l’editore a cent’anni dalla nascita lo ha definito “un grande berlinese e una figura significativa della storia contemporanea”. Per Daniel Cohn Bendit, Dany il rosso del maggio ’68, poi deputato europeo dei Verdi, era “un nazionalista tedesco” e nello stesso tempo amico di Israele, “qualcosa di inedito per la destra”.

 

La Springer Verlag ha superato rivoluzioni e contro-rivoluzioni politiche, non quella digitale: dal 26 agosto di due anni fa è entrato nel capitale in modo massiccio il fondo speculativo americano Kkr (specializzato nel fare spezzatino delle aziende per “estrarne valore”) che ha speso quasi 3 miliardi di euro. L’obiettivo è puntare forte sul web, il come è tutto da vedere. La più grande casa editrice tedesca di giornali è quotata alla borsa di Francoforte, dove capitalizza sei miliardi di euro. La stragrande maggioranza dei suoi 16 mila dipendenti lavora in Germania. Fondata ad Amburgo, si è trasferita a Berlino dove nel 1966 ha fatto erigere un grattacielo di 19 piani a pochi metri dal muro, nel quartiere di Kreuzberg allora controllato dagli americani e oggi considerato un’enclave turca. Sulla prima pietra c’è scritto: “Con fiducia nel futuro della Germania”. Nel 1976 ha spiegato meglio il suo messaggio: “Io non cerco rivincite, sono un tedesco che semplicemente vuole la libertà per tutti i tedeschi, non solo per quelli dell’occidente libero”.

Alto, elegante, dall’aria aristocratica, amante del golf, degli yacht e delle donne (in ordine inverso sia chiaro, con ben cinque matrimoni oltre a tutto il resto), domiciliato in Svizzera per sfuggire al fisco e ai suoi numerosi nemici, Axel Caesar Springer era nato il 2 maggio 1912 ad Altona, un sobborgo di Amburgo. Suo padre Hinrich possedeva una piccola e rispettata casa editrice, Hammerich & Lesser-Verlag. Dopo gli studi da commercialista andò a lavorare nel giornale paterno Altonaer Nachrichten occupandosi di sport ed economia. Nel 1941 Joseph Goebbels, ministro della Propaganda del Terzo Reich, impose di vendere il quotidiano perché non abbastanza allineato, anche se gli Springer non potevano definirsi oppositori. Axel nel 1933 aveva sposato Martha Else Meyer, di origine ebraica. Nel 1938 la coppia divorziò, ufficialmente per ragioni personali, secondo alcune fonti per non cadere nelle maglie delle leggi naziste che impedivano a chi era imparentato con persone “non ariane” di pubblicare un giornale. Axel ha sempre sostenuto anche economicamente Martha e sua madre, sopravvissuta al lager di Theresienstadt. “Non posso dire di non sapere – ammetterà –. Ero a Berlino nel 1933 e vedevo i nazisti picchiare vecchi ebrei. Ero giovane, non ci potevo fare niente, ma non ho mai dimenticato”. Secondo il giornalista polacco Witold Gadowski, la stampa degli Springer partecipò alla campagna razziale e lo stesso Axel aveva fatto parte del corpo motorizzato nazional-socialista. Gadowski due anni fa è stato portato in tribunale dalla casa editrice.

 

Springer, in ogni caso, non uscì dal carnaio nazista con il marchio dell’infamia se già nel 1946 ottenne dalle autorità britanniche di pubblicare un settimanale che rilanciava notizie e dibattiti radiofonici, seguito da un altro magazine, Hörzu, divenuto presto popolare. Due anni dopo cominciò a uscire un quotidiano della sera, Hamburger Abenblatt, dal taglio decisamente familiare, una sorta di anticipazione della Bild Zeitung che vide la luce nel luglio 1952 come tabloid sul modello dell’inglese Daily Mail. Il successo fu immediato e un anno dopo Springer, con l’aiuto di Adenauer, acquistò Die Welt, quotidiano più tradizionale e tradizionalista creato dalle forze di occupazione. A quel punto poteva raggiungere ogni tipo di pubblico, ma la vera innovazione per i tedeschi che leggevano molto (e questo è vero anche oggi), ma erano abituati a separare la stampa in doppiopetto da quella scandalistica, è stata senza dubbio la Bild, diventata negli anni una vera istituzione sempre più influente sulla scena politica, una terza camera dopo il Bundestag e il Bundesrat. Nel 1965 Axel Springer chiese all’allora cancelliere democristiano Ludwig Erhard di introdurre una moneta da 15 pfennig per rendere più facile l’acquisto di una copia del giornale che si può trovare ovunque, anche sulle spiagge italiane e spagnole. La Ddr era così ossessionata che creò la propria versione chiamata Neue Bild Zeitung da vendere al confine tra est e ovest. Oggi fior di intellettuali progressisti confessano di guadare per prima cosa al mattino proprio quella che veniva considerata la bandiera della reazione. Ursula von der Leyen quando era ministro della Difesa organizzò una cena ufficiale nella sede della Bild, con la quale e grazie alla quale aveva governato Helmut Kohl, secondo quel che sosteneva Böll. Se ne è tenuta a debita distanza, invece, Angela Merkel che, infatti, non è stata risparmiata, soprattutto quando nel 2015 decise di aprire le porte a un milione di rifugiati politici e immigrati, in seguito alla guerra in Siria.

Tra le tante polemiche e i molti lati oscuri alla Böll, c’è una questione chiave: come ha fatto Axel Springer a balzare in vetta dal nulla? Si è detto che abbia utilizzato fondi americani più o meno occulti, si è parlato di 7 milioni di dollari dalla Cia, ma non ci sono prove, del resto molti altri giornali, come il liberale Die Zeit, ottennero pacchi di biglietti verdi nell’ambito del programma di sostegno ai territori occupati. Gli anni a cavallo tra 60 e 70 furono senza dubbio i più drammatici. Springer prese apertamente le parti di Israele nella guerra del 1967 e cominciò una campagna contro l’estremismo di sinistra. La Bild ha ancora oggi come bersaglio polemico i “Gutmenschen”, vegetariani, verdi, politicamente corretti; allora l’obiettivo era la Sds, l’organizzazione degli studenti socialisti. Quando l’11 aprile 1968 il loro leader Rudi Dutschke venne colpito in testa da un proiettile esploso da Joseph Bachmann giovane estremista di destra, le piazze della Germania ovest (ma anche della Francia o dell’Italia) si riempirono di manifestanti che accusavano Springer di complicità: “Bild schoss mit!”, gridavano i tedeschi, la Bild ha sparato. Gli scontri si fecero violenti, c’è chi tentò di bruciare l’abitazione dell’editore a Berlino, venne dato fuoco ai camioncini che distribuiscono il giornale, a Monaco la polizia uccise un ragazzo, gli uffici della Bild furono saccheggiati, oltre mille persone finirono agli arresti. Poi quattro anni dopo la bomba della Raf.

 

Duro e competitivo, Springer sapeva essere anche cavalleresco come quando nel 1962 si offrì di ospitare Der Spiegel, il settimanale amburghese da oltre un milione di copie – fondato e diretto da Rudolf Augstein, intellettuale liberal-progressista grande amico di Brandt – chiuso dalla polizia in seguito allo scoop sulla impreparazione totale dell’esercito tedesco di fronte a un eventuale attacco dall’est comunista. Der Spiegel aveva pubblicato documenti riservati della Nato e il direttore venne accusato di tradimento: Franz Josef Strauss, allora ministro della Difesa nonché capo della Csu bavarese fece arrestare i giornalisti autori del servizio. Intervenne la corte costituzionale che emise una storica sentenza sulla libertà di stampa.

L’ultimo matrimonio nel 1978 corona il successo di Axel Springer, con la Germania che, superata la crisi economica e l’ondata terrorista (anche se ci saranno drammatici colpi di coda), sotto la guida sagace del socialdemocratico Helmut Schmidt, si prepara all’era Kohl. La morte arriva improvvisa nel 1985 a Berlino Ovest lasciando aperta la successione. Il suicidio del figlio prediletto Alex, nel 1980, e il totale disinteresse degli altri due Barbara e Raimund che si sono “perduti nell’arte” avrebbe detto Thomas Mann, proprio come Hanno, l’ultimo dei Buddenbrook, lo avevano indotto a una scelta che aveva giurato di non fare mai: aprire il capitale, condividere la proprietà. Dopo aver tentato di vendere tutto al gruppo Burda (che già deteneva il 24,9 per cento) nel 1985 mette sul mercato con un’offerta pubblica il 49 per cento delle azioni. Pochi mesi più tardi arriva la letale broncopolmonite. Il controllo passa alla vedova Friede che colloca il 51 per cento in una holding familiare. Intanto Leo Kirch, il grande concorrente bavarese, comincia una scalata borsistica che lo porta a possedere il 40 per cento del gruppo Springer. Tutti pensano che sarà lui il vero erede, senonché all’alba del nuovo secolo l’alfiere dei cattolico-sociali che aveva esordito comprando i diritti de “La strada” di Federico Fellini, il protetto del potentissimo Franz-Joseph Strauss oltre che di Helmut Kohl, fallisce. Il pacchetto azionario della Springer Verlag viene rilevato in gran parte dalla Deutsche Bank che nel 2003 lo rivende al gruppo di private equity statunitense Hellman & Friedman (per 350 milioni di euro, 19,4 per cento) e a Friede che per quindici anni detta legge mostrando equilibrio e affidando la gestione a manager competenti, i quali hanno varcato i confini della carta stampata e della Germania.

Nel 1988 arrivano la televisione e i nuovi media ancora in fasce, sotto forma di Sat.1 Text, poi i servizi telefonici CompuTel e le emittenti televisive Hamburg 1 e Business Tv International. Dopo la riunificazione della Germania, la casa editrice acquista partecipazioni in Europa centrale, Spagna, Francia e Svizzera. Nel 2005 la corte federale boccia l’acquisizione di Prosieben, che nel frattempo si è fusa con Sat1 per creare la seconda rete televisiva tedesca (oggi Mediaset è l’azionista numero uno con il 24 per cento del capitale). Nel 2015 la Axel Springer tenta di comprare il Financial Times dal gruppo editoriale Pearson che invece lo vende al giapponese Nikkei. Due mesi più tardi arriva Business Insider, il sito americano di notizie (76 milioni di visitatori unici al mese). Nell’agosto 2019 il fondo di private equity americano Kkr, dopo aver lanciato un’offerta pubblica amichevole, diventa il maggior socio della casa editrice con il 43,54 per cento delle azioni. Friede Springer resta con la stessa quota alla quale s’aggiunge il 2,8 per cento dell’amministratore delegato Mathias Döpfner. L’obiettivo è rendere l’azienda privata togliendola dal listino di Borsa per avere le mani libere: il futuro è più che mai aperto.

 

L’ingresso di Kkr ha dato uno scossone all’editoria tedesca al cui vertice siede indiscusso il gruppo Bertelsmann (fatturato 18 miliardi di euro, 117 mila dipendenti). Non possiede giornali, ma televisioni (Rtl, la più grande catena privata in Europa). Soprattutto è un colosso dei libri anche in lingua inglese con Penguin Random House. Sempre in mano agli eredi del fondatore Carl (le famiglie Bertelsmann e Mohn), aveva cominciato a metà Ottocento con pubblicazioni religiose, durante il nazismo era diventato il principale fornitore di opuscoli propagandistici all’esercito, nel dopoguerra aveva fatto ammenda istituendo una commissione storica indipendente per dire tutta la verità sugli anni di sangue dal 1921 al 1949. In Germania i grandi giornali sono radicati nelle regioni (il progressista Süddeutsche Zeitung di Monaco porta in Baviera un respiro internazionale), resistono settimanali e periodici di qualità come Der Spiegel o Focus del gruppo Burda. Ma la pressione delle Big Tech cresce ed è vissuta come una minaccia, non solo una sfida competitiva, tanto da spingere Springer, la Rtl e il gruppo Funke, forte nella informazione locale, a stringere un’alleanza produttiva: Media Impact fornisce contenuti e servizi che coprono la maggior parte dell’informazione. L’accordo è uno dei frutti di una strategia decisa da tempo, ma accelerata dall’arrivo del fondo americano. L’eccezione tedesca nell’editoria (come in altri campi) si sta via via affievolendo. Non ci sono soluzioni locali o regionali, semmai ci sono vie nazionali alla globalizzazione. Axel Springer, con tutto il suo disprezzo per tutto ciò che fa rima con rivoluzione, sarebbe stato d’accordo.

 

Il primo articolo della serie Editori, dedicato a Rupert Murdoch, è stato pubblicato sul Foglio sabato scorso, 7 agosto

Di più su questi argomenti: