La modella Cara Delevingne indossa una creazione per la collezione moda Haute Couture Primavera-Estate 2021 di Fendi presentata a Parigi (Foto AP / Francois Mori, File) 

Perché nel tessile e nella moda c'è ancora bisogno del blocco dei licenziamenti

Fabiana Giacomotti

È il nostro fiore all’occhiello, come si dice in questi casi, e ci serve per vendere un sacco di cose e idee molto meno eleganti nel mondo. Ma è un settore industriale con regole molto più complicate, dure e difficili di altri

Nello scorso anno e mezzo siete scesi a fare la spesa tre volte al giorno perché dovevate sgranchire le gambe? Sì? E poi avete ordinato una bella cenetta consegnata a casa dal vostro ristorante preferito almeno una volta alla settimana perché dovevate tirarvi su di morale? Ecco spiegato l’andamento positivo dell’alimentare e anche il vostro girovita di nuova pesantezza. E invece il matrimonio di vostra figlia come va? E’ stato rimandato e l’abito è ancora solo una teletta, fermo a prendere la polvere nell’atelier del sarto? Mamma e nonna e zie e amiche hanno dovuto rinunciare all’acquisto dell’abito che già avevano selezionato sui siti dei designer più in vista? E quel completo per l’ufficio che avevate accarezzato di regalarvi e poi avete detto pazienza ché tanto faccio smart working? Ecco, vi siete anche spiegati perché il blocco dei licenziamenti sia stato mantenuto nel tessile e nella moda. È

 

semplice, eppure sembra che non l’abbiate ancora capito. Ci proviamo un’altra volta, l’ennesima, nella speranza che prima o poi superiate i duemila anni di pistolotti sulla vanitas vanitatum e di roghi in Campo de’ Fiori: provate ad unire il concetto “moda seconda voce nella bilancia dei pagamenti italiani” con il dato “ottocentomila persone impiegate nel settore, fra dirette e indirette”, cancellando le immagini delle belle sfilate e delle polemiche sui modelli agender. Quelle servono a farvi parlare e a distrarvi dall’evidenza che la moda è un settore industriale con regole molto più complicate, dure e difficili di quelle dell’alimentare.

 

Alles klar? Bene. Se tutto il mondo, per un anno e mezzo, non ha praticamente comprato più di due tute di jersey e un maglioncino perché per la riunione in zoom bastavano e avanzavano, se nessuna industria ha ordinato tele a lane e filati perché erano tutte costrette al lockdown e solo in pochi casi si erano convertite alla produzione di mascherine per poter tenere in attività le macchine e richiamare qualcuno dalla cassa integrazione, se i bilanci dei brand hanno evidenziato una perdita media di fatturato del 30 per cento e temiamo abbiano fatto i magheggi per restare nell’ambito di questa percentuale, se Hearst licenzia la metà dei suoi giornalisti perché i conti non reggono più, non vi viene il dubbio che il settore della moda abbia bisogno di essere ancora difeso per qualche mese?

  

È il nostro fiore all’occhiello, come si dice in questi casi, e ci serve per vendere un sacco di cose e idee molto meno eleganti nel mondo. Poi, come dice Antonio Franceschini, che siede ai vertici di Cna, il governo ha fatto cosa buona e giusta e santa perché licenziare una massa di persone equivarrebbe a perdere competenze in “uno dei settori di riferimento per il made in Italy che è costituito da artigianato e pmi”, senza contare che la “perdita di valore aggiunto dato dal capitale delle competenze insite nel sistema”, come è già successo in Francia, sarebbe esiziale. Il punto, però, è un altro. Il punto è che la moda non è un sistema di gente che beve e si diverte. Per favore, mandatelo a memoria anche se alle sfilate non vi inviteranno mai.

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