Mario Draghi e Emmanuel Macron a Bruxelles nel 2019 (Ansa)

I cugini francesi

Renzo Rosati

I colloqui Draghi-Macron e il mercato comune ribaltano un vecchio cliché. Stellantis, Tim, Bulgari: zero velleità coloniali nelle partite tra Parigi e Roma. Solo mercato

Lasciamo perdere le ombre rosse (quale ufficio inventa questi slogan? Neppure nel 1939 John Ford avrebbe apprezzato la banalizzazione di “Stagecoach”, figuriamoci con i codici hollywoodiani odierni), e battiamo le mani al ribaltamento del cliché degli “odiosi cugini”. Era l’inizio del 2019 quando i Cinque stelle, con Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista, e la entusiasta sponda di Giorgia Meloni, tirarono fuori il franco coloniale. Erano accuse di sfruttamento dell’Africa, mentre l’attuale ministro degli Esteri allora alleato della Lega si rivolgeva al “popolo francese” con una lettera al Monde nella quale spiegava quanto era stato giusto incontrare i gilets jaunes. Ne seguì crisi diplomatica, risolta da Sergio Mattarella ed Emmanuel Macron.

 

Oggi i colloqui sono tra Macron e Draghi, a dimostrazione che bisogna sempre lasciar fare ai capaci. E prima ancora nel 1995 il governo Dini votò all’Onu una mozione contro i test nucleari francesi (tutti gli altri paesi del G7 e i maggiori partner Nato l’avevano bocciata o si erano astenuti), e Jacques Chirac annullò il vertice franco-italiano. Oggi la maggiore industria privata italiana, Fca, si è fusa con Peugeot in Stellantis, di cui John Elkann è presidente e Carlos Tavares ad. Si discute su chi comandi davvero, discussione oziosa dal momento che le quote sono paritarie e, dopo la scomparsa di Sergio Marchionne, Tavares è il miglior manager automobilistico europeo.

 

Sul fronte del bel vivere Bulgari aprirà nel 2022 un hotel extralusso a Roma, di fronte al restaurato mausoleo di Augusto. Bulgari è dal 2012 sotto il controllo di Lvmh, il gruppo dei brand di alta gamma. Il restauro dell’Augusteo è stato finanziato da Tim, che ha tra gli azionisti Vivendi che in èra gialloverde e giallorossa aveva molto litigato con le controparti italiane, finché il governo Draghi ha propiziato un nuovo vertice – Salvatore Rossi, Luigi Gubitosi, Giovanni Gorno Tempini, Arnaud de Puyfontaine, Luca De Meo (italianissimo ad di Renault a sua volta controllata dal Tesoro francese) – per fare pace. Forse c’è qualcosa di simbolico nel fatto che a riportare allo splendore la tomba del primo imperatore romano e lanciare un albergo che punta sulla rinascita post pandemia siano in varia misura capitali d’oltralpe: di sicuro ci credono, né sono certo atti ostili. Lvmh è appena salita dal 3,2 al 10 per cento nella Tod’s, e il suo proprietario Bernard Arnault è stato accolto da Diego Della Valle come “un vecchio amico”. Di certo i francesi rispetteranno l’italianità dei mocassini a pallini, come già fanno con Bulgari, Fendi, Loro Piana. Altrettanto certo è che a Parigi sono stati capaci di creare un sistema globale del lusso, cosa che non è riuscita a Roma o Milano. Ma non parlate di colonialismo. 


A Stellantis il portoghese Carlos Tavares dopo aver risanato Peugeot-Citroen, vale simbolicamente quanto De Meo, ex Fca, a Renault. Così come il francese Philippe Donnet, ceo di Generali, è marcato sempre più stretto dai capitali italiani di Francesco Gaetano Caltagirone e Leonardo Del Vecchio. Ieri Caltagirone non si è presentato in assemblea e non ha votato il bilancio 2020 firmato Donnet, approvato da Mediobanca dove i soci francesi sono il 7 per cento, compreso Vincent Bolloré la cui Vivendi, azionista anche di Mediaset, oltre che di Tim, sta negoziando una tregua con la famiglia Berlusconi intorno al progetto di polo televisivo europeo, basato in Olanda. Vivendi è primo azionista di Mediaset e dovrebbe scendere lasciando campo a Fininvest e altri capitali (si parla anche di Google), necessari dopo la scalata di Mediaset a Prosiebensat.1, maggiore broadcaster tedesco e secondo europeo. Tutto questo, per limitarsi alle manovre in corso, quanto ha a che fare con guerre Francia-Italia? Zero in termini di ostilità o velleità coloniali. Tutto in termini di un mercato di capitali, e ancora più di consumatori, che è ormai comune e attende solo il boom post Covid. Dopo la Brexit, e con l’incertezza politica che aleggia sulla Germania (simboleggiata dallo splendido isolamento del gruppo Volkswagen), Parigi e Roma sono sempre più destinate a giocare nello stesso campionato, condividendone regole e risultati. Si chiama mercato.
 

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