Serbia, una marea di plastica ha invaso il lago Potpecko (AP Photo/Darko Vojinovic) 

L'ecologia dei ricchi

Chicco Testa

Cosa non va  nella transizione energetica che promette di farci avere bollette più care 

Uno degli obiettivi della transizione ecologica è la sua sostenibilità sociale. Anzi essa dovrebbe contribuire a migliorare anche le condizioni di vita dei ceti meno abbienti. Sarà allora il caso che qualcuno cominci anche a preoccuparsi e a fare qualche conto per capire sulle spalle di chi si andranno a scaricare i costi del “Green Deal”. Come è noto non esistono pasti gratis e il fatto che la Ue metta a disposizione somme ingenti non risolve il problema. La Ue sta riflettendo su come finanziare queste spese nel proprio bilancio e si pensa di introdurre una tassa sulla plastica. Essendo già passarti in Italia da questa discussione sappiamo quanto sia difficile mirare nel modo giusto. Ed evitare il paradosso delle tasse ambientali. Se tassano prodotti facilmente sostituibili, desiderabilmente sostituibili, non danno gettito. E se danno gettito si trasformano di fatto in un’imposta indiretta con i noti effetti regressivi dal punto di vista fiscale.

 

La stessa cosa dicasi per l’imposta, leggasi dazi, che la Ue intenderebbe applicare alle frontiere sui prodotti ad alto contenuto di CO2 per evitare il noto effetto per il quale riduciamo la CO2 in Europa e ne importiamo quote maggiori da paesi produttori di beni ad alto tasso di carbonio. Oltre che evitare la fuga di interi comparti industriali verso paesi più tolleranti. Ma se funziona anche essa si tradurrà inevitabilmente nell’aumento del costo di una serie di beni intermedi (acciaio?) E quindi di beni finali.

 

 

La stessa cosa è successa nel decennio passato con gli incentivi per le fonti rinnovabili. Caricati in bolletta evitando di colpire l’industria per non impiombarne la competitività hanno finito per colpire quasi esclusivamente le famiglie. Non credo rientrino nei calcoli sulla pressione fiscale, ma, inutile nasconderselo, di tasse trattasi. E’ facile anche in questo caso dimostrare come la loro natura sia molto vicina a quella di un’imposta indiretta con gli inevitabili effetti regressivi. Paga di più in proporzione chi guadagna di meno. Questo è anche il motivo per cui è stata messa in soffitta almeno temporaneamente la guerra contro gli incentivi ambientalmente dannosi. Il più importante fra di loro sarebbe il premio al gasolio. Non di incentivo di fatto si tratta, ma di una accisa sempre salata ma inferiore a quella pagata dalla benzina.

 

Per capirci per fare in modo che non sia più un incentivo basterebbe allineare le due accise. Fatto sta che nessuno se la sente, in questo momento, anche memori di quanto accaduto in Francia, di aumentare la tassazione sul gasolio, carburante utilizzato da ampi settori economici e da molte famiglie anche per gli effetti recessivi, oltre che regressivi, che produrrebbe. Se poi guardiamo a una serie di politiche di incentivazione messe in campo negli ultimi anni la sensazione di una visione distorta che finisce per penalizzare i ceti più deboli si rafforza. Non credo che le periferie romane, palermitane o milanesi abbiano goduto degli incentivi per i monopattini o le biciclette elettriche. Quelli per l’auto elettrica poi premiano solo chi può permettersi una seconda auto da usare esclusivamente in città e magari dispone anche di un garage dove ricaricarla. Se anche i ricchi devono piangere direi che qui se la ridono felicemente e si fa festa nelle Ztl.

 

 

Sarà per questo che la sinistra sembra non accorgersene? Che è quello che sta un po’ succedendo anche con il bonus 110 per cento. Dove sembra che il massimo successo si ottenga nelle villette unifamiliari, magari nelle seconde case travestite da prima casa. Questo perché negli enormi condomini delle periferie urbane soprattutto nel Mezzogiorno è difficile sia ottenere una chiara volontà condominiale sia, spesso, certificare la conformità urbanistica ed ai regolamenti edilizi, che costituisce una premessa necessaria, per l’alto tasso di abusivismo piccolo e grande. Più in generale poi i conti andrebbero fatti per le future politiche energetiche.

 

Sostituire il gas con batterie che regolino l’intermittenza inevitabile delle fonti rinnovabili e servano da riserva per quei famosi giorni di maltempo in cui il solare non dà alcun contributo oltre che oggi tecnicamente impossibile implica enormi investimenti, che vanno ripagati, in colossali batterie o altri sistemi di stoccaggio dell’energia. Idem per l’idrogeno, che comporta rendimenti energetici assai inferiori a quelli delle fonti primarie e della stessa elettricità. All’orizzonte è facile intravedere ulteriori aumenti della parte della bolletta nota come “oneri di sistema”. Certamente ci saranno anche partite positive. Investimenti, occupazione, aumento delle entrate fiscali connesse alla potenziale crescita del pil. Ma comunque che tutto debba ricadere sulle spalle dei soliti ignoti è un bel paradosso, prima o poi foriero di guai. 
 

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