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Le mani sul Monte. Giani e l'opposizione alla privatizzazione di Mps

Stefano Cingolani

Il presidente della Toscana dice al governo di non vendere: solo la proprietà statale può perpetuare un modello andato a male

Dunque, non ci sono solo i grillini. Il fronte nazionalizzatore che vuole tenere il Monte dei Paschi di Siena nel caldo ventre del Tesoro arriva fino al Pd. Il neo presidente della regione Toscana Eugenio Giani ha scritto una lettera al ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, al fine di esprimere la preoccupazione sua e della Toscana tutta, per il futuro della banca. Qual è il suo cruccio, che il Monte perda quattrini (ancora!), che non eroghi prestiti e mutui ai clienti, che non offra servizi adeguati e tecnologicamente avanzati? No, o meglio, non solo. Il vero campanello d’allarme suona quando si parla di privatizzazione. Il governo, anzi il presidente del Consiglio in persona, si è impegnato con l’Unione europea: la vendita si farà, il Tesoro cederà il suo 68 per cento entro giugno 2022. E qui scatta l’altolà di Giani il quale chiede che l’intera operazione venga rinviata. Di quanto? Almeno fino al 2024. Meglio sine die: non è detto, però sembra implicito. La nazionalizzazione, così, da temporanea diventa permanente.

 

Ma come, è stato varato un decreto governativo che dà il via alla privatizzazione e autorizza la scissione di crediti deteriorati per 8,1 miliardi, alleggerendo il bilancio della banca. E la Bce ha dato il suo benestare. Tutti passi propedeutici alla vendita, anzi essenziali se si vuole nel frattempo trovare un partner e, anziché disperdere le quote sul mercato, favorire la fusione con una banca più grande e più solida. Giani non si preoccupa e assicura di aver molte carte da giocare: “Ho incontrato parlamentari ed esponenti della maggioranza – ha detto – penso di avere speranze nel chiedere il rinvio della privatizzazione per un paio d’anni e faccio appello al ministro. Si deve dare tranquillità al management, che sta operando bene, di poter lavorare al risanamento”. E giù lodi: “La banca è ben guidata” oltre che dotata “di grandi professionalità”. In realtà, si sono accumulate perdite per 1,5 miliardi nei primi sei mesi dell’anno. Inoltre è emerso che occorre aumentare il capitale per circa 2 miliardi di euro se si vuole mettere in sicurezza il Monte ed evitare che il patrimonio di vigilanza scivoli sotto la soglia critica.

 

Dunque, restare in Mps per il Tesoro non è esattamente un buon affare, soprattutto se deve impiegare fondi che, di questi tempi, sarebbe meglio destinare ad altre priorità. Ma qui Giani cala il suo asso: la privatizzazione avrebbe “un forte impatto negativo sulla vita economica e sociale della Toscana in un momento così difficile”, spiega il presidente regionale. I motivi di allarme sono “sia sotto il profilo occupazionale, per i prevedibili tagli che qualsiasi ipotesi di aggregazione porterebbe con sé, sia sotto il profilo dell'accesso al credito per il sistema produttivo toscano”. Argomenti ai quali non è insensibile nemmeno il governo. Gualtieri è avvertito e accerchiato. Lo è anche Conte il quale vorrebbe evitare un altro fronte caldo oltre quello bollente del Covid. La mossa di Giani rappresenta un altro passo del gambero nel cammino verso il risanamento e il consolidamento del sistema finanziario italiano. In crisi sono entrate nello scorso decennio le banche locali, soprattutto quelle popolari, perché il loro rapporto con il territorio era diventato perverso, fino all’incrocio incestuoso tra soci e clienti con lo scambio di azioni contro prestiti e favori.

 

E’ una costante che troviamo da Vicenza a Bari, da Arezzo a Genova, per non parlar di Siena. I salvataggi che dovevano segnare una rottura, in molti casi sono stati un ponte attraverso il quale il passato si proietta nel futuro: riemergono potentati locali, notabili, cacicchi. E adesso un governatore come Giani fa appello al territorio, al piccolo mondo antico, per mantenere in mano pubblica una banca che è stata rovinata, anzi distrutta dal matrimonio morganatico con la fondazione, con il comune, con quel mondo. Dicevano che Siena si era svenata per sostenere la sua banca, ma se oggi vuole tenersela ben stretta, evidentemente è successo esattamente il contrario.

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