Il Mes spiegato a chi non lo vuole

Luciano Capone

Le sue risorse, ricorda Roberto Gualtieri, devono essere impiegate per la spesa sanitaria, non esistono altre condizionalità. La pandemia, la crisi e le misure del governo. Gli investimenti per i giovani. Il ministro dell’Economia alla Festa del Foglio

    Ci troviamo in una fase delicata, in cui tutti gli indicatori potrebbero non corrispondere al periodo in cui ci troviamo. Vale per i contagi ma anche per i dati dell’economia: recentemente sono arrivati dati migliori di quanto ci si attendeva, ad esempio il dato del pil con un ottimo più 16 per cento nell’ultimo trimestre. Ecco, questi segnali positivi potrebbero non rispecchiare il quadro attuale. Dal suo punto di osservazione, con le misure che sta attuando il governo, qual è lo scenario dell’economia italiana? “Naturalmente – risponde alla Festa del Foglio il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri – molto dipenderà dall’evoluzione della pandemia, non siamo stati presi di sorpresa dal dato del terzo trimestre perché eravamo consapevoli che era in corso un rimbalzo molto forte. Così è stato e questo è importante perché è un segnale di forza e resilienza dell’economia italiana. E’ anche il frutto del fatto che si è scelto di realizzare politiche espansive senza precedenti di supporto al sistema economico. Senza questa linea economica europea non sarebbero stati possibili risultati così positivi. Il nostro sistema economico è in grado di reggere shock se sostenuto. Noi siamo nelle condizioni di affrontare diversi scenari. Abbiamo varato un decreto molto corposo per sostenere quei settori che sono stati toccati dal dpcm e abbiamo immediatamente offerto sostegno a ristoratori ed esercenti. Sul 2021 tutto compreso noi abbiamo 70 miliardi impostati: le risorse dello scostamento, 24 miliardi che già avevamo previsto sarebbero stati utilizzati per sostegno ai settori colpiti dalla pandemia, poi abbiamo le risorse del Recovery plan che potranno essere anticipate dal 1° gennaio e poi 31 miliardi di manovra già fatta per il 2021. Risorse che ci possono consentire di adeguarci a tutti i tipi di scenari”.

    Come doveroso, il governo non si è risparmiato nella spesa in deficit. Però nell’elaborazione della Nadef anche il Tesoro ha avuto un occhio al debito pubblico italiano, è stato attento a far tornare i conti. I tassi sono in calo, quindi non ci sono tensioni come negli anni passati sul debito italiano. Questo deve farci stare tranquilli, possiamo comprare ancora altro tempo o comunque è un vincolo quello del debito pubblico? “L’Italia deve stare attenta al suo livello del debito e a puntare a ridurlo ma ciò non è in contrasto con interventi anticiclici, che non incidono strutturalmente sul livello della spesa ma che mobilitano momentaneamente risorse per ripartire. E’ un gioco a somma positiva: le misure anticicliche sono consigliate dal Fondo monetario internazionale e sono praticabili dal punto di vista della sostenibilità del debito. Altra cosa sarebbe mettere a repentaglio la sostenibilità strutturale dei conti pubblici. Lo scenario he abbiamo delineato indica che possiamo avere al tempo stesso un aumento degli investimenti e una traiettoria discendente del debito pubblico. Ma solo se sapremo utilizzare bene le risorse del Recovery plan”.

    Il Fondo monetario recentemente ha chiesto agli stati di spendere molto sugli investimenti e anche nella manutenzione, in progetti già avviati e nell’elaborazione di nuovi progetti. Sulla manutenzione non dovrebbe esserci un grande problema, ma ci sono dubbi sulla capacità dell’Italia di spendere fondi europei. C’è un problema della burocrazia italiana nella capacità di progettare e attuare questi progetti. Rischiamo di poter spendere e di non riuscire a farlo? “E’ vero, non possiamo limitarci a una gestione ordinaria attraverso i normali canali del Recovery plan, occorre rafforzare la capacità di progettazione e di spesa del paese, anche con una struttura ad hoc che possa fare lavoro di regia e coordinamento delle varie amministrazioni, anche con poteri sostituivi. In modo che diventi possibile quello che l’Italia ha saputo fare in alcune fasi, penso all’Expo e a Genova. Ci sono degli esempi che dimostrano che l’Italia se si applica collettivamente, è in grado di fare bene. Penso che l’attuazione del Recovery fund debba seguire questa filosofia”.

    Venendo al Nadef, sembra che punteremo molto sulla parte dei trasferimenti del Recovery fund, mentre la parte dei prestiti verrà poco utilizzata. Paesi come la Spagna e il Portogallo stanno pensando di non usare proprio la parte dei prestiti, sempre nella logica del debito pubblico. L’Italia cosa ritiene di fare? “Noi abbiamo già detto che useremo fino all’ultimo euro e anzi una parte non marginale la useremo come investimenti aggiuntivi, non semplicemente per ricavare un beneficio di tassi d’interesse. Anche con la parte cosiddetta sostituiva, noi utilizzeremo tutte le risorse, fino all’ultimo euro”.

    Ma se l’Italia utilizza tutte le frecce nell’arco europeo – il programma Sure, che è un prestito, trasferimenti, tutte le risorse del Recovery fund – perché non il Mes? Qual è la differenza con gli altri prestiti, perché il Mes non piace come gli altri? “Io non sono tra quelli a cui non piace, anche perché l’ho negoziata io questa linea di credito. Ha delle condizionalità minori di quelle dei prestiti del Recovery fund e analoghe ai prestiti del Sure. L’unica condizionalità del Mes è che le risorse devono essere spese per la spesa sanitaria, non esistono altre condizionalità. Come avviene per Sure, non c’è alcuna condizionalità di tipo macroeconomico e neanche la possibilità di condizionalità future. L’unica è quella che ho detto. Ma credo di non svelare un segreto: la ragione per cui non l’abbiamo ancora preso è che ci sono valutazioni politiche diverse nella maggioranza, c’è un partito a favore e uno contro. L’ho spiegato a quelli che dicono che ci sono condizioni che non ci sono”.

    Anche a causa delle nuove misure restrittive, adesso vengono rifinanziate anche forme di ristoro per gli autonomi e gli esercenti ed è stata estesa la cassa integrazione e il blocco dei licenziamenti fino a marzo. Ma l’Italia è l’unico paese in Europa che ha adottato il blocco dei licenziamenti e all’estero non si sono avute ricadute in termini occupazionali superiori all’Italia. Secondo molti economisti così facendo si creerà un tappo, una pentola a pressione che prima o poi scoppierà. Ci avete pensato, perché l’Italia è stata l’unico paese a scegliere questa formula? “Noi non disponiamo di un sistema adeguato di politiche attive, abbiamo un modello di flexsecurity ancora imperfetto: questo è il motivo di fondo per cui abbiamo preso questa decisione. Di fronte alla recrudescenza della pandemia abbiamo aperto un dialogo con le forze sociali e trovato un’intesa su un prolungamento di questo blocco accompagnato per le imprese a un nuovo ciclo di cassa Covid. E’ un’intesa positiva e in parallelo svilupperemo meccanismi a favore della ricollocazione proprio per darci gli strumenti per uscire da blocchi così rigidi. Aiuteremo e gestiremo gli inevitabili meccanismi di ristrutturazione attutendo gli effetti sociali. La raccomandazione che ci viene dagli organismi internazionali è di non ritirare troppo presto i meccanismi di sostegno all’occupazione. Questa non è una soluzione strutturale ma un meccanismo d’emergenza ora necessario. Noi avevamo previsto un’uscita graduale a partire da novembre ma poi le cose sono cambiate, la situazione si è nuovamente aggravata. E quindi abbiamo pensato di posticipare questa scadenza”.

    A proposito di politiche attive, quando scadrà la cassa Covid e il blocco dei licenziamenti a marzo, il mese successivo dovrebbero scadere i contratti di circa 3 mila navigator. Cosa ne sarà di questi navigator tra qualche mese? “Il mio auspicio è che il Recovery plan sia anche l’occasione per un potenziamento e una riforma del meccanismo delle politiche attive, che in Italia non funzionano come dovrebbero. Quindi spero che nel nostro Recovery plan venga affrontata anche questa questione”.

    Parliamo di giovani. Questa pandemia colpisce molto gli anziani ma le misure per arginarla ricadono molto sulle fasce più giovani: penso ad esempio alla chiusura delle scuole, a chi doveva iniziare a fare tirocini e non ha questa opportunità. I giovani si ritroveranno con 25 punti di debito pubblico in più. Eppure sono una categoria che non esiste nel dibattito di politica economica. “I temi che lei ha toccato sono centrali. Per questo nella manovra c’è un intervento a sostegno dell’occupazione giovanile molto significativo, ci sono più investimenti nella ricerca, per il diritto allo studio, per l’università, per la scuola. Vogliamo puntare su un paese che sappia innovare puntando sui giovani, ad esempio sostenendo le startup. E’ un tema fondamentale nell’impostazione del nostro Recovery plan. Noi pensiamo a un paese che sa superare le sue fragilità e debolezze strutturali e proprio per questo diventa un paese per giovani, dove le giovani donne possono avere servizi, lavorare, ci sono asili nido per tutti, dove si esce di casa e si diventa indipendenti prima, un paese che investe sulla ricerca e sulla formazione. Questa è l’Italia che può nascere con la straordinaria opportunità del Recovery plan”.

    Sui giornali circola la notizia di un possibile aumento di capitale per il Monte dei Paschi, che ha un suo consiglio di amministrazione ma di cui il Tesoro è l’azionista di maggioranza. In questo caso cosa farebbe l’azionista, se ne è discusso? “Preferisco non esprimermi, se vuole torniamo a parlare di Mes piuttosto! Sul Monte dei Paschi preferisco non addentrarmi. Noi abbiamo lavorato per sostenere questa banca in un momento di difficoltà, con la Commissione europea abbiamo definito un percorso di rilancio di questo istituto di credito che deve passare anche per un’operazione di fusione con un partner sufficiente forte da consentire un futuro. E’ un processo che può prendere diverse forme mantenendo l’obiettivo strategico di rilanciare il Monte dei Paschi. Le forme, il percorso con cui questo obiettivo verrà raggiunto sono complessi e dipendono da troppi fattori per essere sintetizzati in poche battute”.

    • Luciano Capone
    • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali