Scorporo, incorporo, 5G, piano K e status quo. Tutti i progetti sulla rete Telecom

Stefano Cingolani

I timori dei concorrenti e i debiti di Tim. Ecco la soluzione: rete secondaria a una società con i soldi del fondo Kohlberg Kravis Roberts e in cui entra OpenFiber

Roma. C’è il piano Bul che sta per Banda ultra larga, poggia su OpenFiber e procede a passo di lumaca; c’è il piano B come Beppe (Grillo) secondo il quale lo stato, attraverso la Cassa depositi e prestiti, prende il controllo di Tim, la fonde con OpenFiber e liquida i francesi di Vivendi; c’è il piano G come 5G: se si accelera il passaggio alla nuova tecnologia diventa possibile risolvere il conflitto tra rame e fibra ottica, colmando il gap con le zone oggi periferiche; c’è il piano Z come zero, perché i dissidi tra i soggetti coinvolti e tra i partiti possono paralizzare tutto, come sta accadendo già da alcuni anni; infine c’è il piano K come Kkr, il fondo americano Kohlberg Kravis Roberts già protagonista di epiche battaglie a Wall Street, disposto a investire oltre 3 miliardi di euro nella modernizzazione della rete. Lo abbiamo lasciato per ultimo perché molti pensano che potrebbe chiudere l’annosa partita, tra questi il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri che non ha soldi da gettare, tanto meno nella ri-nazionalizzazione di Telecom, cara allo schieramento conservatore che vuole la rivincita contro la madre-matrigna di tutte le privatizzazioni. Ma cominciamo dall’inizio, cioè dal piano Bul.

 

OpenFiber, posseduta per metà dall’Enel e per metà dalla Cdp dopo l’acquisizione nel 2016 di Metroweb, nasce su impulso di Matteo Renzi allora presidente del Consiglio per collegare con la fibra ottica anche quella parte dell’Italia dove manca la connessione internet. 

 

Dietro c’è la convinzione che Telecom Italia (dove nel frattempo, uscita la spagnola Telefónica, è entrata la francese Vivendi che fa capo a Vincent Bolloré), oberata dai debiti e desiderosa di proteggere la propria rete in rame, non voglia investire per ridurre il divario digitale che allontana l’Italia dagli altri paesi europei. Vasto programma avrebbe detto Charles de Gaulle, e si rivela ancor più vasto del previsto. Il marchio di fabbrica politico scatena gli antirenziani che sparano ad alzo zero. I cantieri vanno a rilento per molti motivi, tra i quali le autorizzazioni dei comuni non solo nel sud (in Puglia e Calabria siamo a zero). I tempi s’allungano dal 2020 al 2022 o forse al 2023, i costi salgono. C’è davvero bisogno di due reti parallele e spesso divergenti? OpenFiber trova il sostegno di operatori che soffrono il predominio di Telecom (oggi Tim) e non posseggono alcuna struttura di rete fissa. Vodafone, Wind Tre, Sky, Tiscali, Orange stringono accordi, ma senza nessun obbligo di agganciare i loro clienti alla rete in fibra. Telecom si sente sfidata e reagisce investendo anche nella fibra ottica. Si arriva così alla situazione attuale che vede in sostanza la fibra arrivare fino alle cabine mentre da lì a casa, in quella che viene chiamata la rete secondaria, il segnale continua a passare per il rame. Una situazione non ottimale, ma riduce i costi infrastrutturali. Intanto rullano di nuovo i tamburi sullo scorporo della rete Telecom che rappresenta un asset fondamentale per la compagnia e copre in ogni caso la maggior parte del paese.

 

Un anno fa Luigi Gubitosi, amministratore delegato di Tim, comincia a sondare la possibilità di un’offerta per OpenFiber, convinto che l’Enel voglia uscire per concentrarsi sulla transizione energetica. Ma Francesco Starace, amministratore delegato dell’Enel, non si decide, mentre Vodafone e Wind scendono in campo contro una concentrazione verticale che darebbe a Tim un ruolo dominante. Aldo Bisio, amministratore delegato di Vodafone sostiene che “il grande problema può sorgere nel momento in cui la governance non sia in grado di assicurare condizioni di parità. Nessuno credo giocherebbe in un campionato di calcio dove l’arbitro possa essere un giocatore di una delle squadre”. Bisio auspica che “continui a esserci competizione”, si schiera per una società della rete che fornisca solo l’infrastruttura, senza far concorrenza sui servizi, e punta sullo sviluppo del 5G. E’ questa la priorità come per Jeffrey Hedberg amministratore delegato di Wind Tre: “La crescita dell’Italia passa attraverso la creazione dell’ecosistema 5G, motore di sviluppo e punto d’incontro tra innovazione e sostenibilità”. Anche Fastweb, pioniere della rete in fibra, che ha stipulato accordi con Tim, pur non essendo presente nella telefonia mobile, sostiene che il futuro prossimo passa per il 5G. Nulla vieterebbe di montare sulla cabina un piccolo ripetitore che mandi il segnale fino in casa e consenta una connessione da un gigabit al secondo, persino nella situazione attuale. Il mondo politico, invece, si divide, si blocca, si fa ricattare dai veti dei comuni (520 sindaci hanno emesso ordinanze contrarie) e dall’onda montante dei nuovi luddisti No 5G. Così, diventa dirimente la querelle sulla rete che prende sempre più l’aspetto di uno scontro ideologico sul ritorno dello stato imprenditore.

 

E’ a questo punto che arriva il piano K. Tim, con l’apporto del fondo Kkr potrebbe scorporare la rete secondaria (il cui valore viene stimato in 7,5 miliardi di euro) per conferirla ad una nuova società nella quale entri anche OpenFiber. Tim avrebbe il 51 per cento delle azioni e potrebbe ricavare risorse per ridurre il suo ingente debito, rinunciando però alla governance. Cassa depositi e prestiti sarebbe azionista e garante della mano pubblica sia in Tim della quale possiede il 9,89 per cento (Vivendi ha il 23,9 e il fondo Elliott 6,98) sia nel nuovo soggetto, senza per questo sborsare risorse che oggi non ha. Enel se vuole può uscire o restare con una quota inferiore. Non si mette in discussione l’assetto proprietario della casa madre (a differenza da quel che vorrebbe Grillo), Anche Fastweb potrebbe partecipare con la sua rete, mentre Vodafone e Wind Tre farebbero cadere il loro veto e contribuire a una gestione condivisa. Non dovrebbero sorgere nemmeno problemi di regolamentazione europea. La quadratura del cerchio? Troppi gli interessi in conflitto, troppi i giochi politici, troppi gli odi messi in campo. Per questo spunta dalle nebbie il piano Z e allora sì che sono guai.

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