Francesco Pugliese, ad Conad (LaPresse)

Famiglie, imprese, paese: una guida e un appello per il momento della riscossa

Claudio Cerasa

Patriottismo con giudizio, perché siamo un mercato aperto. Bene l’Europa, ma è l’Italia che deve attivare le leve del rilancio. Attenzione ai consumi e ai rischi della disoccupazione. Chiacchierata con l'ad di Conad, Francesco Pugliese, sull’Italia che sarà

Andrà tutto bene, forse, ma prima di capire come potranno andare le cose è utile provare a capire come sono andate finora. C’entra la pandemia ma c’entra prima di tutto l’economia. E c’entra prima di tutto il modo in cui l’Italia si prepara ad affrontare i prossimi mesi di speranza e di incertezza. Cosa succederà? Come è cambiato il tessuto del paese? Che errori occorrerà non commettere? Su cosa si può essere ottimisti? E su cosa vale la pena vigilare? Francesco Pugliese è uno dei manager più importanti d’Italia. E’ da molti anni amministratore delegato di Conad e negli ultimi mesi, attraverso il privilegiato punto di osservazione della grande distribuzione italiana, ha potuto osservare da vicino gli umori, le paure, le speranze, le preoccupazioni e persino le isterie di un pezzo importante dell’Italia. Il mondo della grande distribuzione, negli ultimi mesi, ha registrato un andamento asimmetrico rispetto al resto dell’economia e tra marzo e aprile ha visto il trend del fatturato complessivo degli ipermercati e dei supermercati aumentare del 5,4 per cento, il trend del largo consumo confezionato aumentare del 9,7 per cento, il trend del fatturato ancora del largo consumo confezionato aumentare del 16,9 per cento e il trend del fatturato derivante da prodotti diversi da quelli legati al cibo diminuire del 19,5 per cento.

  

Ma in mezzo a questi dati apparentemente poco significativi ce ne sono altri più interessanti che hanno a che fare con il volto con cui si presenta oggi l’Italia in quella che in molti hanno giustamente definito la fase 3. E in questa fase, dice Pugliese, ci sono grandi opportunità per l’Italia ma ci sono anche problemi veri, profondi e radicati che meritano di essere affrontati subito per evitare che il tempo che il paese ha oggi a disposizione per migliorare le cose possa essere un tempo sostanzialmente sprecato.

 
Il primo tema su cui varrebbe la pena di fermare l’attenzione, dice Pugliese, è il patriottismo che, come è noto, è sempre un’arma a doppio taglio. “Starei attento a portare avanti una politica anche involontariamente protezionistica, che tende ogni giorno a invitare gli italiani a consumare solo prodotti italiani, a mangiare solo italiano e a fare vacanze solo in Italia. Sostenere la filiera italiana è fondamentale e noi lo facciamo ogni giorno, ma il protezionismo non è una risposta adeguata al momento perché l’Italia è un paese esportatore e dovrebbe sapere meglio di altri quanto alimentare sentimenti autarchici possa essere pericoloso. Perché se lo facesse solo un paese, i problemi magari non si vedrebbero, ma se poi tutti i paesi iniziassero a praticare l’autarchia, le esportazioni si bloccherebbero e le aziende fallirebbero. Vale per l’agroalimentare e per tutti i settori e tutti i paesi. Siamo un mercato interconnesso e lo saremo sempre: è bene non dimenticarselo mai”.

 


Il secondo punto su cui varrebbe la pena riflettere riguarda il nostro rapporto con l’Europa e su questo fronte Pugliese dice che l’Italia dovrebbe occuparsi un po’ meno di quello che l’Europa deve fare per noi e un po’ più di quello che l’Italia deve far per sé stessa. “Vogliamo negare che l’Europa ci sta aiutando? Vogliamo negare che in Europa è in atto una svolta epocale? Vogliamo negare che tutto quello che le istituzioni europee dovevano fare lo stanno facendo? Il punto, se mi consentite, è leggermente diverso. Chi deve attivare le leve del rilancio non è l’Europa ma è l’Italia. Chi deve far ripartire le infrastrutture non è l’Europa ma è l’Italia. Chi deve sostenere la manifattura non è l’Europa ma è l’Italia. Chi deve riattivare l’economia non è l’Europa ma è l’Italia. Chi deve rimettere a posto le strade del nostro paese non è l’Europa ma è l’Italia. Il punto non è se si possono fare le cose, ma se si vogliono fare le cose. Ed è inutile girarci intorno: questo è il momento in cui, e non parlo solo del governo, l’Italia deve dimostrare se ha o no una classe dirigente con gli attribuiti, capace non solo di chiedere ma anche di dare”.

 

Pugliese non è ottimista, ma non è neanche drasticamente pessimista, perché conosce cosa dicono in questa fase i principali studi che misurano la fiducia degli italiani. Uno di questi, che l’ad di Conad ha consultato, è stato elaborato qualche settimana fa da un periodico di analisi e previsione chiamato “Congiuntura Ref”, che, nonostante la grave crisi italiana, fotografa una situazione non del tutto drammatica. “Le valutazioni sulla situazione attuale dell’economia italiana in generale – si legge nel rapporto – sono peggiori rispetto a quelle sulla situazione della propria famiglia. Di fatto, per ora le famiglie hanno contezza della gravità della situazione generale pur non avendone avuto pieni riscontri nella situazione personale. E’ possibile che le misure di finanziamento degli ammortizzatori sociali abbiano avuto l’effetto di ridimensionare i timori delle famiglie che, sia pure con qualche ritardo nei tempi di erogazione, hanno potuto contare su queste forme di sostegno al reddito. Va segnalato che un risultato dello stesso tipo si legge nell’indagine dell’Ipsos sulle famiglie italiane; secondo questa rilevazione il livello di minaccia di tipo sanitario percepita per l’Italia è molto maggiore di quello percepito a livello individuale. Se si passa alle opinioni sul mercato del lavoro, le valutazioni delle famiglie sono più preoccupate ed esprimono una percezione molto negativa sui rischi di disoccupazione. Viceversa, le valutazioni delle imprese sull’andamento dell’occupazione sono sì peggiorate, ma in maniera tutto sommato limitata. Gli indicatori che descrivono le attese delle imprese sull’andamento prospettico degli occupati sono difatti su livelli superiori a quelli toccati nel corso della grande crisi. Questo è un segnale incoraggiante, perché conferma che le imprese stanno cercando di contenere i licenziamenti pur in un contesto congiunturale percepito come molto sfavorevole”. In buona sostanza, le famiglie in media percepiscono attorno a sé una situazione più preoccupante rispetto a quella che è la propria esperienza personale.

 

Per capire come potranno andare le cose nei prossimi mesi, Pugliese fissa tre paletti: piccola distribuzione, automotive, contratti a termine. “Se non si andranno ad attivare i consumi nella piccola distribuzione extra alimentare, l’Italia rischia un’ecatombe. Oltre al mondo del turismo, tra i grandi colpiti dalla crisi ci sono i centri commerciali, completamente svuotati in tutta Italia anche nelle ultime settimane, quelle della riapertura, e se questa tendenza non sarà solo momentanea bisognerà ridisegnare la geografia economica del paese. Il mondo dell’automotive, invece, meriterebbe un’attenzione in più anche da parte del governo. L’Italia è un paese manifatturiero, lo sappiamo, ma spesso dimentichiamo che una grande parte della manifattura è direttamente legata alla componentistica del mondo dell’auto, un mondo che vale tra il 6 e il 7 per cento del nostro pil. Se non sarà sostenuto un grande ritorno ai consumi in questo settore, sarà un disastro vero. Quanto al resto, è vero che in questi mesi ci sono stati alcuni settori che sono cresciuti, ma a fronte di altri che sono crollati. Penso per esempio al mondo dell’elettronica, che secondo l’Istat, ad aprile, è stata l’unica forma di vendita in costante accelerazione, con una crescita del 27,1 per cento, che potrebbe diventare una caratteristica stabile dello stile dei consumi del paese. Ma ciò che dobbiamo prepararci ad affrontare sono i rischi legati al calo dell’occupazione. Nei prossimi mesi, da qui a fine anno, circa 2,5 milioni di contratti a tempo determinato andranno a scadenza e la vera tenuta, anche sociale, del paese, a mio avviso, si andrà a misurare qui. Per evitare che ci siano milioni di disoccupati in più, non si può solo chiedere all’Europa di darci una mano. Dovremmo costringerci a cambiare paradigma, smettendola di occuparci solo di come assistere chi non lavora, con misure come quota 100 e reddito di cittadinanza, e provare invece a creare le condizioni per lavorare di più: non puoi distribuire torte se prima non trovi gli ingredienti giusti per crearle”.

 

Non è possibile pensare a come tornare a creare benessere se prima l’Italia non farà, dice Pugliese, quello scatto di qualità che le serve: lavorare per la resilienza del paese. “La parte sana della classe dirigente italiana dovrebbe capire che questo è il momento giusto per togliersi la maschera dell’attendismo e scendere in campo per uscire dall’anonimato e aiutare il paese a crescere. Non mi riferisco alla politica, mi riferisco alle imprese. Essere imprenditori non significa solo muoversi per chiedere di più dal governo. Significa anche dare il buon esempio. Significa anche indicare una via. Significa anche cominciare a essere un po’ più classe dirigente proponendo soluzioni per creare valore. E’ il momento della riscossa. Ma la riscossa, cari amici imprenditori, non dipende solo da quello che gli altri possono fare per noi. Dipende anche da quello che tutti noi possiamo fare per l’Italia. E’ il momento di aiutare l’Italia a diventare un paese con una classe dirigente all’altezza delle sfide che gli ultimi eventi richiedono. Se non ora, quando?”.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.