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La manovra asseconda Open Fiber e distorce il mercato della fibra

Alberto Brambilla

Due emendamenti inseguono la tecnologia preferita dal nuovo attore statale e danno incentivi (improduttivi) alle famiglie

Roma. Nella legge di Bilancio sono stati presentati due emendamenti per incoraggiare la diffusione della banda ultralarga, tecnologia con una bassa copertura in Italia rispetto al resto d’Europa, che si adattano bene alla strategia dell’operatore di stato Open Fiber, ma che rischiano di utilizzare risorse pubbliche in modo inefficace e di distorcere il mercato privato delle telefonia.

     

Nel Decreto fiscale, che arriva “blindato” al voto della Camera la prossima settimana, viene deciso quale sia la sola tecnologia che può essere chiamata fibra ottica escludendo quelle esistenti. L’articolo 19 quinquiesdecies al secondo comma dice che l’Autorità garante per le telecomunicazioni nel definire le caratteristiche tecniche dei diversi tipi di infrastruttura individua “come infrastruttura in fibra ottica completa l’infrastruttura che assicura il collegamento in fibra fino alla unità immobiliare del cliente”. In questo modo il rischio è che solamente la tecnologia usata da Open Fiber che porta la fibra fino a casa (fiber to the home, Ftth) sia l’unica riconosciuta adatta per legge a essere sviluppata e sostenuta, dando così un vantaggio competitivo al nuovo attore statale delle reti digitali di Enel e di Cassa depositi e prestiti, una banca di stato. Gli operatori privati come Telecom Italia e Fastweb invece sfruttano anche la tecnologia della fibra fino agli armadi in strada (fiber to the cabinet, Fttc).

   

L’ex incumbent con l’ultimo tratto in rame, che non dà grandi benefici. L’operatore di proprietà del gruppo Swisscom li ha entrambi sia Ftth sia Fttc. Fin da quando era presidente di Cdp, Franco Bassanini, ora presidente di Open Fiber, ha a lungo propugnato l’idea che portare un collegamento ultraveloce fin nelle case degli italiani fosse il migliore metodo possibile al momento, ma anche “a prova di futuro” in quanto è la base delle nuove infrastrutture digitali. Per l’intenzione di legare a una sola tecnologia lo sviluppo della banda ultralarga, anziché lasciare aperta la possibilità che si utilizzino altri sistemi in via di sperimentazione o già in uso altrove, Bassanini è stato criticato per un atteggiamento dirigista. In queste settimane governo e Telecom Italia, controllata di fatto dai francesi di Vivendi, stanno discutendo la possibilità di scorporare l’infrastruttura della rete telefonica di Telecom, del valore di 13-15 miliardi di euro, e di quotarla in Borsa. Non è da escludere l’ingresso nell’azionariato della società della rete di Open Fiber o Cdp, dietro pagamento del corrispettivo a Telecom.

    

Il secondo provvedimento, un emendamento alla legge di Bilancio, destina 1,3 miliardi di euro sotto forma di voucher per le famiglie (fino a 250 euro a famiglia) che vogliono abbonarsi a servizi di connettività in fibra. Ma soltanto se la fibra ha le caratteristiche di potere scaricare (download) alla velocità di 100 Megabit per secondo e di caricare (upload) tra i 50 e i 100. Non sono limiti consigliati dalle autorità europee che indirizzano i paesi membri verso lo sviluppo delle reti digitali, ma tale specificità muove gli incentivi verso chi usa la tecnologia Ftth che garantisce proprio quelle performance.

     

Introdurre voucher di questo tipo rischia di generare comportamenti opportunistici da parte degli operatori e distorsivi del mercato, senza benefici. Al momento i nuovi abbonati non sostengono costi di attivazione: offrire un incentivo per farlo potrebbe, da un lato, convincere le compagnie telefoniche a reintrodurli per incassare i voucher e, dall’altro, scatenare una battaglia di promozioni tra gli operatori, con relative migrazioni di clienti per approfittare delle offerte migliori in modo estemporaneo e caotico. La combinazione di questi fattori presenta un rischio: destinare parte delle risorse pubbliche a progetti cruciali senza badare troppo a ciò che è produttivo e ciò che è improduttivo.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.