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Dati in crescita e scioperi. L'e-commerce non è il futuro ma il presente

Renzo Rosati

Oggi il commercio elettronico vale 23,6 miliardi. Arriverà in Italia, come già altrove succede, la convergenza tra commercio fisico e digitale

Roma. Lo avessero dichiarato per il Black Friday di un anno fa, lo sciopero avrebbe fatto dei dipendenti del deposito Amazon di Piacenza un simbolo. Almeno per la retorica mediatica. I Davide che si oppongono allo sfruttamento del Golia-Jeff Bezos; ma anche della difesa del “piccolo è bello”, l’italica bottega divorata dall’e-commerce colonialista amerikano. Quest’anno la guerra di religione non c’è stata, solo qualche solidarietà pre-elettorale. Oltre non si è andati: la protesta è inquadrata dalla Cisl “nella dialettica aziendale in un settore ad alti guadagni”. Tradotto: partecipare agli utili, come pare legittimo per un sito che nel Black Friday 2016 ha smaltito 1,2 milioni di ordini. E del resto con questa logica si sciopererà anche in sei siti tedeschi. Tra un anno magari una protesta simile verrà paragonata a quelle dei taxi, dei trasporti pubblici e dei professori: si parlerà di sequestro del paese, benché Amazon sia privata e scuola e tassisti servizi pubblici.

  

La realtà è che l’e-commerce non è più il diavolo, come ovunque nel mondo. Secondo la Camera di commercio di Roma il 57 per cento dei romani fa acquisti online contro il 45 per cento dei milanesi. Magari la capitale è anche penalizzata dalla difficoltà di andare in centro, però è un (raro) segnale di cosmopolitismo. Secondo uno studio del Politecnico di Milano il commercio elettronico vale in Italia già 23,6 miliardi; cioè, per Nielsen, il 14-15 per cento delle vendite totali di beni di largo consumo. Ma mentre nel 2017 il trend di aumento dei volumi tradizionali è in flessione dal più 1,2 allo 0,9 per cento, l’incremento annuale dell’e-commerce è del 17 per cento, con 22 milioni di compratori.

   

Se ne lamenta soprattutto la grande distribuzione, che quest’anno prevede di fatturare 114 miliardi, con 2 milioni di addetti e 60 milioni di consumatori a settimana. La lagnanza riguarda le tasse: il web come è noto paga poco, o elude, il che è un problema europeo. “E le piattaforme digitali sono attive giorno e notte per 365 giorni l’anno”, ma questo è un problema italiano. Invece l’altra grande accusa rivolta all’e-commerce, la chiusura dei negozi tradizionali, non appare motivata. Secondo l’Istat il calo di occupazione nel commercio è stato tra il 2008 e il 2015 di 258 mila unità, ma con un forte recupero nel 2016 e 2017: calo nettamente inferiore a quello nell’industria e nelle costruzioni, e compensato, nel terziario, proprio dalla tenuta nella logistica e dall’aumento dei servizi alle imprese. Dunque a colpire il settore è stata la crisi, non l’online che caso mai ha dato una mano. Come del resto nei paesi in cui l’e-commerce è più sviluppato, Usa, Germania e Cina, con la disoccupazione ai minimi del 4 per cento. Molti negozi in Italia sono chiusi, certo (267 mila in cinque anni), ma anche perché ne avevamo 130 ogni 10 mila abitanti, rispetto ai 64 della Francia, ai 35 del Regno Unito, ai 32 della Germania. E di dimensioni e caratteristiche inadeguate. Al contrario, se si parla di grandi superfici e mall di lusso, Milano è diventata la seconda città d’Europa per nuove aperture, con anche Roma tornata timidamente in classifica.

   

Piuttosto, come già altrove a ritmo vorticoso, arriverà in Italia la convergenza tra commercio fisico e digitale; accompagnata magari dal rebound, il rimbalzo del commercio fisico di cui in America beneficiano per esempio le librerie. Amazon ha appena comprato la catena di cibi freschi Whole Foods, Alibaba la Sun Art, maggiore catena cinese di ipermercati partecipata anche da Auchan. Ed è l’e-commerce che tiene attivi i conti di Axel Springer, prima casa editrice tedesca ed europea. Delle aziende italiane, oltre il 40 per cento di quelle presenti sulla piattaforma Marketplace di Amazon ha incassato nel 2016 più di 250 milioni di euro di vendite all’estero, con clienti in aumento del 50 per cento l’anno. Pur partiti in ritardo, il 90 per cento dei brand di alta gamma apre shop online, così come utilizzano promozioni tutto l’anno. Non è solo Black Friday.

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