Nella giungla del nostro Fisco esiste già la flat tax. Ma è quella sbagliata

Luciano Capone

Un Frankenstein fiscale in Italia, con effetti negativi sul fronte della redistribuzione e della ricchezza. Uno studio

Roma. Uno dei commenti più lucidi alla proposta di riforma fiscale lanciata dall’Istituto Bruno Leoni è quello del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan: “La flat tax è l’esatto opposto delle spese fiscali, perché rappresenta il sistema più semplice possibile, e quindi trasparente – ha detto in un’intervista al Sole 24 Ore – Sono affascinato dalla proposta sul piano intellettuale, ma avanzo un’obiezione banale:  la vera domanda è a quale livello fissare l’aliquota, e mi pare che il 25 per cento sia basato su una stima ottimistica che amplifica i benefici ma minimizza i costi. Sono disponibile a ragionarci, ma non illudiamoci che sia un passaggio semplice”.

 

Sicuramente la riforma fiscale del think tank liberista scritta da Nicola Rossi, che contiene un’aliquota unica sui redditi e un minimo vitale per i più bisognosi, con i suoi 30 miliardi di spesa pubblica da tagliare è un progetto ambizioso e non facilmente realizzabile politicamente. E il ministro dell’Economia fa bene a evidenziarlo. Ma, e questa è la cosa sorprendente rispetto a quanto ci si poteva aspettare, da economista di sinistra Padoan ha sottolineato questo aspetto critico e non il tema della “progressività”, sollevato da altri commentatori, che con la flat tax verrebbe a mancare. Come a dire che il dibattito sulla progressività dell’Irpef è una questione più teorica che pratica. Perché nell’attuale sistema fiscale italiano una specie di flat tax già c’è, ma è quella sbagliata.

 

Una panoramica spietata sul sistema italiano di imposte e benefici per le famiglie è stata recentemente pubblicata dall’Ufficio valutazione impatto del Senato, con uno studio dal titolo emblematico: “Fisco. La giungla delle aliquote effettive”.

 

Partiamo da una conclusione: “Contrariamente alle intenzioni più volte dichiarate dal legislatore – scrivono i tre funzionari del Mef e del Senato che hanno scritto il documento – l’aliquota marginale effettiva risulta sostanzialmente invariata, anziché crescente, da 28 mila euro annui fino a svariati milioni”. Non solo nell’attuale sistema la progressività è quasi interamente concentrata tra chi guadagna fino a 28 mila euro, ma lo è anche in maniera incoerente e per certi versi sconclusionata. Il documento, analizzando la variazione di imposte e benefici, si concentra sulle “aliquote marginali effettive”, ovvero la percentuale di tasse pagata per ogni incremento di reddito. In pratica si vede come cambiano all’aumentare del reddito le aliquote, le detrazioni, le deduzioni, i sussidi e quant’altro. L’immagine che ne viene fuori è simile a quelle delle montagne russe, con aliquote marginali che salgono e scendono, si impennano e vanno in picchiata senza alcuna coerenza. Nulla a che vedere con un sistema progressivo.

 

Questo Frankenstein fiscale non ha solo effetti negativi sul fronte della redistribuzione, ma anche su quello della produzione della ricchezza e della compliance fiscale. Come scrive il report, aliquote marginali alte e molto variabili da un lato possono spingere molti contribuenti ad evadere e dall’altro scoraggiano la partecipazione al lavoro bloccando molte persone nella povertà. Il caso più paradossale è prodotto dalle addizionali Irpef comunali e regionali che, oltre la soglia minima, si applicano a tutto il reddito e non solo a quello eccedente: in questo modo l’aliquota marginale è superiore al 100 per cento. Vuol dire che a chi guadagna un euro in più viene tolto più di un euro. E questo effetto si ha nelle fasce più povere, quindi il fisco funziona in maniera regressiva (altro che progressività). Uno sbalzo simile è provocato dal bonus 80 euro: per chi rientra nella soglia minima degli 8 mila c’è un beneficio enorme (quasi il 200 per cento), per chi supera quella massima di di 24 mila una tassazione vicina al 100 per cento. Se poi si aggiunge l’effetto della variazione dei contributi, il risultato è incredibile: l’aliquota marginale sui redditi superiori ai 100 mila euro è inferiore a quella di chi guadagna appena 18 mila euro.

 

In alcune fasce di reddito l’Irpef attuale scoraggia il lavoro, incoraggia l’evasione e snatura il concetto di giustizia fiscale. Forse la flat tax al 25 per cento è di difficile realizzazione, magari di aliquote ne servono due anziché una, ma come ha ben chiaro Padoan ciò che serve per creare più ricchezza e redistribuirla meglio è un sistema più semplice e trasparente. E per ottenerlo bisogna disboscare la giungla fiscale italiana.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali