Milano, terzo giorno di sciopero dei Taxi (foto LaPresse)

Taxi, biblioteche, ambulanti. Quando il servizio pubblico diventa arma di ricatto in mano alle minoranze organizzate

Luciano Capone

Dagli scioperi selvaggi alle occupazioni. Mentre i populisti cavalcano l’arroganza dei gruppi organizzati, quelli “istituzionali” ne sono succubi, tralasciando la maggioranza silenziosa

"Stiamo invitando i colleghi a riprendere il servizio. Chi ha interesse a creare il caos non siamo noi ma le multinazionali”, ha dichiarato il sindacalista della Cgil reparto taxi nel secondo giorno di “agitazione” dei tassisti. I blocchi stradali, le città intasate, le aggressioni, gli aeroporti paralizzati, i turisti a terra e i cittadini a piedi non sarebbero responsabilità dello sciopero selvaggio dei tassisti ma di chissà quale multinazionale. Un’affermazione assurda, che d’altra parte è perfettamente coerente con la logica post veritiera di una manifestazione che a parole è “per la legalità e contro l’abusivismo” ma che nella realtà è una protesta illegale: “Sono state violate le norme sullo sciopero”, ha dichiarato l’Authority. I tassisti, che godono dei privilegi connessi al possesso della licenza, avrebbero l’obbligo di garantire il servizio pubblico, il diritto di tutte le altre persone alla mobilità. Ma è colpa delle multinazionali, dicono. Per limitare la concorrenza e difendere la propria rendita di posizione hanno deciso di paralizzare le città, senza alcun preavviso.

 
Da diritto individuale e collettivo il servizio pubblico si trasforma così in arma di ricatto in mano alle minoranze organizzate e chiassose che ne possiedono il monopolio o se ne attribuiscono la potestà. Come è accaduto, sempre nei giorni scorsi, all’Università di Bologna con l’occupazione e la devastazione di una biblioteca da parte di estremisti dei centri sociali. “Volevamo solo autogestire un posto che ci spetta di diritto. Buttare giù i tornelli è come buttare giù un muro di confine”, dicono gli occupanti. Gli incidenti sono colpa di Trump quindi, come le città bloccate sono colpa delle multinazionali. La realtà è che l’università aveva deciso di mettere un po’ di controlli e ripristinare condizioni minime di sicurezza facendo accedere solo gli studenti provvisti di badge in un biblioteca in cui non mancano episodi di spaccio, di furto, di degrado, in cui circolano persone estranee all’università. Restituire insomma uno spazio pubblico in condizioni civili a tutti gli studenti. Non è stato possibile. Minoranze organizzate facinorose, le stesse che in passato hanno aggredito e tolto la parola a professori come Angelo Panebianco, hanno prima impedito agli altri studenti di accedere alla mensa in nome dell’“autoriduzione” del prezzo del pranzo, poi divelto i tornelli e infine devastato la biblioteca quando è arrivata la polizia a fermare l’occupazione. Intanto la biblioteca è chiusa a tutti gli studenti perché gli stessi centri sociali minacciano nuove occupazioni.


Roma, manifestazione "NO BOLKESTEIN" con Di Maio e Salvini (foto LaPresse)


Pochi giorni fa Alessandro Di Battista, il Che Guevara del M5s, arringava contro i giornali la piazza degli ambulanti in protesta per la direttiva Bolkestein e la folla rispondeva: “Bravo Dibba!”, “servi!”, “l’ammazzamo noi!”. Colpa dei giornalisti, com’è colpa delle multinazionali e del muro di Trump. Cosa c’entri la stampa con una norma che vuole semplicemente mettere a gara il commercio ambulante sul suolo pubblico, per introdurre concorrenza, dare opportunità a tutti e sradicare interessi consolidati, nessuno lo sa. Ciò che è certo è che, come per i taxi e le biblioteche, anche in questo caso gli interessi collettivi e il “servizio pubblico” hanno dovuto cedere il passo a gruppi minoritari aggressivi e organizzati: il governo ha rinviato di due anni l’introduzione delle gare previste dalla Bolkestein e prorogato lo status quo. Mentre i populisti cavalcano la rabbia e l’arroganza dei gruppi organizzati, quelli “istituzionali” ne sono succubi, tralasciando la maggioranza silenziosa composta da milioni di persone che, non a caso, William Graham Sumner chiamava “l’Uomo dimenticato”: quello che “Lavora, vota, di solito prega, ma sempre paga”.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali