Cassonetti dell'immondizia a Roma (Foto LaPresse)

Wilkommen monnezza. Perché la Germania guadagna dalla montagna di rifiuti più grande d'Europa

Daniel Mosseri

I tedeschi sono i più sporcaccioni ma anche quelli con il sistema di riciclaggio più efficiente. Uno studio dell’Istituto di Colonia per la ricerca economica (IW) mette in luce le contraddizioni di un’Unione della spazzatura a molte velocità 

Domani scade il mandato di Davide Bina, direttore generale di Ama, dimissionario dallo scorso 31 dicembre e prorogato fino al 31 gennaio. Sono otto mesi che la società è alle prese con la ricerca disperata di una dirigenza che possa offrire un po' di stabilità. Come se non bastasse i quattro impianti di Trattamento meccanico biologico (Tmb) funzionano con difficoltà a causa di disservizi vari e, anche per questo, gran parte dei rifiuti prodotti nella Capitale vengono spediti fuori Regione se non addirittura fuori dall'Italia. Dove, soprattutto in Germania, le cose funzionano diversamente.  

 

Il paese più sporcaccione d’Europa in termini di rifiuti urbani? La Germania. E quello con il sistema di riciclaggio della monnezza più efficiente del vecchio continente? Sempre la Germania. Uno studio dell’Istituto di Colonia per la ricerca economica (IW) mette in luce le contraddizioni di un’Europa della spazzatura a molte velocità. In vetta alla classifica dei paesi produttori di rifiuti urbani troviamo la Repubblica federale tedesca con 618 chilogrammi pro-capite (dato del 2014). Peggio fa solo la Danimarca (758 kg) che però ha solo cinque milioni di abitanti contro gli 82 della Germania. “Un legame fra ricchezza e produzione di rifiuti è statisticamente provato”, spiega al Foglio l’economista senior dell’IW Adriana Neligen, “e in Germania produciamo più spazzatura rispetto a dieci anni fa, ma almeno lo facciamo a ritmi più lenti: la situazione non è ideale ma è in miglioramento”. La gara a chi sporca di meno e vinta dalla Romania (249 kg) tallonata dalla Polonia (272). Con 488 chilogrammi a testa, a fronte di una media Ue di 474, l’Italia si trova invece nella fascia alta. Dalla sua il Belpaese ha però un trend discendente: -11% nel 2014 contro il +15% della Danimarca e il +11% della Germania. E non si tratta di un miglioramento episodico: Neligan osserva anche come la waste intensity in Italia – ossia l’andamento della produzione dei rifiuti urbani per unità di Pil – sia calata del 15% fra il 2005 e il 2014.

 

 

Il che non basta tuttavia a trasformarci in un paese virtuoso. Oltre che con un paio di guanti da spazzino, i dati sulla monnezza vanno maneggiati cum grano salis. Quello della produzione della spazzatura secondo il principio “meno è meglio” è solo il primo dei cinque scalini della “gerarchia dei rifiuti” impostata nel 2008 dalla Commissione europea. Alla prevenzione seguono la preparazione per il riutilizzo, il riciclaggio, il recupero di altro tipo (per esempio di energia), e lo smaltimento. Ed è proprio negli altri scalini che la Germania surclassa i partner europei.

 

Secondo i dati dell’IW, i tedeschi riciclano il 64% dei rifiuti urbani, destinando agli inceneritori un altro 35%, cosicché solo l’1% è destinato allo smaltimento in discarica. Nella hit parade dei riciclatori di spazzatura urbana seguono l’Austria (56%), il Belgio (55%) e i Paesi Bassi (51%). Le maglie nere vanno a Malta (11%) e alla Slovacchia (10%). Con il 42% dei rifiuti urbani destinati al riciclaggio, l’Italia si piazza subito al di sotto della media Ue (42%).

 

 

Il giudizio assegnato da Neligan al nostro paese è tuttavia incoraggiante. Germania, Austria e Belgio hanno alte percentuali di riciclaggio da molti anni. I tedeschi in particolare superano quota 50% di riciclaggio da oltre 20 anni, “per questo motivo nel mio studio indico questi paesi come ‘riciclatori tradizionali’. L’Italia invece ha modificato in modo sostanziale il suo tasso di riciclaggio nel corso dell’ultimo decennio, guadagnandosi così il titolo di ‘upcoming recycler’, senza ottenere quello di ‘new recycler’ solo perché non ha raggiunto la media Ue”. In soldoni: nel 2005 la percentuale di rifiuti urbani reimmessi nel circolo produttivo in Italia era limitata al 19%, con una gran parte dei rifiuti umidi destinati alla discariche, “mentre negli ultimi anni abbiamo assistito a un’inversione di tendenza”.

 

E tuttavia l’Italia è ancora lontana dai livelli di efficienza teutonici: da noi le discariche assorbono ancora il 32% dei rifiuti mentre l’incenerimento riguarda solo il 19% della spazzatura. L’Ue, nel frattempo, non si ferma e “sta discutendo se portare gli obiettivi di riciclaggio dei rifiuti al 65% entro il 2030”. Il piano fa parte del pacchetto di misure sull’economia circolare con due pietre miliari: l’abbattimento del ricorso alle discariche da una parte, e l’armonizzazione dei criteri per stabilire se un prodotto è stato riciclato oppure no. “Oggi nell’Ue esistono almeno quattro criteri differenti di misurazione: il 64% della Germania oggi è calcolato sommando tutto quello che viene raccolto anche se non necessariamente riciclato e con l’adozione di criteri differenti potrebbe precipitare al 50% o anche meno”.

 

Fra le prime sfide per l’Italia c’è quella dell’eccessivo ricorso alle discariche, alle quali Neligan preferisce gli inceneritori, “perché in Germania gran parte della spazzatura viene bruciata per produrre energia; non è un riciclaggio vero e proprio ma almeno è una forma di nuovo impiego, cosa che in discarica non accade”. A spingere verso un nuovo modello produttivo per l’Italia è sempre l’Ue, intenzionata a fissare l’obiettivo del riciclaggio del 65% di rifiuti entro il 2030 assieme all’abbattimento del ricorso alla discarica sotto al 10% entro lo stesso anno. Quello del riciclaggio è per Neligan un obiettivo al quale l’Italia può puntare “se riuscirà a mantenere il ritmo degli ultimi anni”. È anche interessante notare come l’Ue della monnezza assomigli a quella della moneta unica. Economisti ed esperti di ambientali al lavoro sul dossier rifiuti non si ispirano infatti ad alcuna best practice internazionale: “L’Ue è rivolta solo al suo interno e da quello che ho sentito ha già un modello di riferimento, che è quello del primo paese riciclatore, ossia la Germania. Anche l’obiettivo del 65% di riciclaggio dei rifiuti è stato cucito su misura sul 64% già raggiunto dai tedeschi”.

 

I differenti livelli di sviluppo nel sistema di gestione dei rifiuti fra gli stati membri fa sì che oggi gli inceneritori tedeschi non abbiano abbastanza materiale da bruciare, il che permette alla Germania di importare spazzatura dal resto d’Europa per produrre nuova energia. Sebbene resti sul tavolo dell’Ue, una modifica dei criteri stabiliti per definire cosa sia riciclato e cosa no appare dunque improbabile per la contrarietà del socio di maggioranza che, giunto a un passo da traguardo del 65%, rischierebbe di tornare indietro nel gioco dell’oca della spazzatura Ue. “Ma seppure dovesse accadere”, conclude Neligan, “la Germania manterrà la sua leadership europea nel riciclaggio e nelle tecnologie di riciclaggio. E se anche dovesse perdere formalmente posizioni percentuali, non sarà certo il cambiamento di una definizione a mettere in crisi il suo primato nel settore”.

 

 

 

 

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